Passi Patroclo, passino Teti e Peleo, passino le acque dello Stige e passi pure il romanzo della Miller ma se vuoi chiamarti davvero Achille c’è una cosa – una parte di te – che non può mancare: un tallone. Una fragilità. Qualcosa che resta acerbo.

Lunedì sera, all’Antares, in una Roma poco metropolitana, Lauro De Marinis è tornato – “è il cinema dove sono cresciuto” – con un progetto suo. L’evento era stato annunciato in modo velato, segreto (“In questi mesi ho lavorato a qualcosa che non vedo l’ora di condividere con voi”), sul suo profilo Instagram con l’invito a iscriversi per assicurarsi uno dei pochi posti a disposizione. Il popolo di Achille non ha chiesto nulla di più, ha inviato la mail sperando di rientrare nel piccolo gruppo di fortunatissimi e poi ha aspettato di scoprire quale fosse la sorpresa. Achille c’era, vestito un po’ come fosse domenica, la domenica quella di una volta, elegante e misurata, sobria, splendida. Nel suo cinema, in quella parte di Roma sua, è tornato a presentare il diario delle sue origini, un docufilm che prende il titolo dal suo terzo album, Ragazzi madre, e dal poema epico tradizionalmente attribuito ad Omero, l’Iliade.

Un docufilm oggi non se lo fa mancare nessuno, che tu sia un cantante o una moglie forse tradita. Abbiamo tutti una gran voglia di ascoltare storie, storie di vita, storie alle quali associare dolore, empatia, storie da giudicare, spesso deridere, chiacchierare. Le produzioni sono sempre più precise nel taglio, dinamiche nel montaggio, i testi ritmati ad arte, le musiche devono esaltare, sottolineare, muovere e commuovere: i titoli di coda sono lunghissimi, devono contenere maestranze e autori, non pochi. È roba che funziona.

Achille Lauro ha preso il microfono in mano e ha detto solo parole che potrebbero essere riassunte così: “vorrei condividere con voi questa cosa che sono io, il racconto del percorso fatto con i miei collaboratori più stretti, con i miei amici”. Le ha pronunciate inciampando tra consonanti e vocali, le ha pronunciate senza impostare la voce, senza assumere pose. Poi si è seduto in prima fila, vicino a quei collaboratori, a quegli amici, al fratello, e ha guardato quel suo lavoro, quel suo racconto, un collage che parte dall’infanzia e abbraccia senza retorica quel tempo difficile, la crescita problematica, una storia che avrebbe potuto avere un finale meno onesto, meno epico, meno eroico, comunque umano.

E la cosa bella di Ragazzi madre – L’Iliade è proprio questa scrittura acerba, questa mancanza di sovrastrutture narrative, questa ricca povertà di accorgimenti cinematografici, la delicata imperfezione. Lauro, Achille, ha preso una storia e un’epica di perdizione giovane e l’ha portata a combattersi – combattere se stessa – in un campo di battaglia che in tanti hanno conosciuto.

È una nuova Iliade quella dei tempi nuovi, racconta assedi intimi, interiori. Lauro racconta Achille e non uno solo ma i suoi tanti talloni, talloni tutti scoperti, tutti esposti, esposti al cuore potente di un Patroclo amico, esposti a una madre e a un padre, alle assenze, esposti a chi è caduto come è caduto anche lui e poi alla più inattesa delle soluzioni e delle rivoluzioni, alla freccia di un Paride non qualunque, un Paride con una faretra colma di parole: parole che colpiscono, feriscono, curano, salvano.

Segui i temi Commenta con i lettori I commenti dei lettori

Suggerisci una correzione

Passi Patroclo, passino Teti e Peleo, passino le acque dello Stige e passi pure il romanzo della Miller ma se vuoi chiamarti davvero Achille c’è una cosa – una parte di te – che non può mancare: un tallone. Una fragilità. Qualcosa che resta acerbo.

Lunedì sera, all’Antares, in una Roma poco metropolitana, Lauro De Marinis è tornato – “è il cinema dove sono cresciuto” – con un progetto suo. L’evento era stato annunciato in modo velato, segreto (“In questi mesi ho lavorato a qualcosa che non vedo l’ora di condividere con voi”), sul suo profilo Instagram con l’invito a iscriversi per assicurarsi uno dei pochi posti a disposizione. Il popolo di Achille non ha chiesto nulla di più, ha inviato la mail sperando di rientrare nel piccolo gruppo di fortunatissimi e poi ha aspettato di scoprire quale fosse la sorpresa. Achille c’era, vestito un po’ come fosse domenica, la domenica quella di una volta, elegante e misurata, sobria, splendida. Nel suo cinema, in quella parte di Roma sua, è tornato a presentare il diario delle sue origini, un docufilm che prende il titolo dal suo terzo album, Ragazzi madre, e dal poema epico tradizionalmente attribuito ad Omero, l’Iliade.

Un docufilm oggi non se lo fa mancare nessuno, che tu sia un cantante o una moglie forse tradita. Abbiamo tutti una gran voglia di ascoltare storie, storie di vita, storie alle quali associare dolore, empatia, storie da giudicare, spesso deridere, chiacchierare. Le produzioni sono sempre più precise nel taglio, dinamiche nel montaggio, i testi ritmati ad arte, le musiche devono esaltare, sottolineare, muovere e commuovere: i titoli di coda sono lunghissimi, devono contenere maestranze e autori, non pochi. È roba che funziona.

Achille Lauro ha preso il microfono in mano e ha detto solo parole che potrebbero essere riassunte così: “vorrei condividere con voi questa cosa che sono io, il racconto del percorso fatto con i miei collaboratori più stretti, con i miei amici”. Le ha pronunciate inciampando tra consonanti e vocali, le ha pronunciate senza impostare la voce, senza assumere pose. Poi si è seduto in prima fila, vicino a quei collaboratori, a quegli amici, al fratello, e ha guardato quel suo lavoro, quel suo racconto, un collage che parte dall’infanzia e abbraccia senza retorica quel tempo difficile, la crescita problematica, una storia che avrebbe potuto avere un finale meno onesto, meno epico, meno eroico, comunque umano.

E la cosa bella di Ragazzi madre – L’Iliade è proprio questa scrittura acerba, questa mancanza di sovrastrutture narrative, questa ricca povertà di accorgimenti cinematografici, la delicata imperfezione. Lauro, Achille, ha preso una storia e un’epica di perdizione giovane e l’ha portata a combattersi – combattere se stessa – in un campo di battaglia che in tanti hanno conosciuto.

È una nuova Iliade quella dei tempi nuovi, racconta assedi intimi, interiori. Lauro racconta Achille e non uno solo ma i suoi tanti talloni, talloni tutti scoperti, tutti esposti, esposti al cuore potente di un Patroclo amico, esposti a una madre e a un padre, alle assenze, esposti a chi è caduto come è caduto anche lui e poi alla più inattesa delle soluzioni e delle rivoluzioni, alla freccia di un Paride non qualunque, un Paride con una faretra colma di parole: parole che colpiscono, feriscono, curano, salvano.

QOSHE - “Ragazzi Madre, L’Iliade”, il tallone d’Achille (Lauro) - Tiziana Pasetti
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

“Ragazzi Madre, L’Iliade”, il tallone d’Achille (Lauro)

13 0
13.12.2023

Passi Patroclo, passino Teti e Peleo, passino le acque dello Stige e passi pure il romanzo della Miller ma se vuoi chiamarti davvero Achille c’è una cosa – una parte di te – che non può mancare: un tallone. Una fragilità. Qualcosa che resta acerbo.

Lunedì sera, all’Antares, in una Roma poco metropolitana, Lauro De Marinis è tornato – “è il cinema dove sono cresciuto” – con un progetto suo. L’evento era stato annunciato in modo velato, segreto (“In questi mesi ho lavorato a qualcosa che non vedo l’ora di condividere con voi”), sul suo profilo Instagram con l’invito a iscriversi per assicurarsi uno dei pochi posti a disposizione. Il popolo di Achille non ha chiesto nulla di più, ha inviato la mail sperando di rientrare nel piccolo gruppo di fortunatissimi e poi ha aspettato di scoprire quale fosse la sorpresa. Achille c’era, vestito un po’ come fosse domenica, la domenica quella di una volta, elegante e misurata, sobria, splendida. Nel suo cinema, in quella parte di Roma sua, è tornato a presentare il diario delle sue origini, un docufilm che prende il titolo dal suo terzo album, Ragazzi madre, e dal poema epico tradizionalmente attribuito ad Omero, l’Iliade.

Un docufilm oggi non se lo fa mancare nessuno, che tu sia un cantante o una moglie forse tradita. Abbiamo tutti una gran voglia di ascoltare storie, storie di vita, storie alle quali associare dolore, empatia, storie da giudicare, spesso deridere, chiacchierare. Le produzioni sono sempre più precise nel taglio, dinamiche nel montaggio, i testi ritmati ad arte, le musiche devono esaltare, sottolineare, muovere e commuovere: i titoli di coda sono lunghissimi, devono contenere maestranze e autori, non pochi. È roba che........

© HuffPost


Get it on Google Play