C’è stato un giorno in cui nascere ha significato qualcosa di inaudito. Non più un momento del ciclo eterno della natura, che si ripete tornando al punto di partenza («Sempre le stesse cose», diceva Aristotele, descrivendo così il movimento rotatorio del cosmo). C’è stato un giorno in cui nascere ha significato insieme lo spezzarsi di quel cerchio e la sua apertura verso il futuro. La tensione di una retta infinita ha sostituito la figura rassicurante del ciclo naturale. Non è un caso che a partire da quel giorno misuriamo il nostro tempo e la nostra storia. Quel giorno è nato il figlio di Dio, e insieme Dio si è fatto uomo. Per di più, in una grotta «al freddo e al gelo» tra un bue e un asinello. Il principio che si fa piccolo fino a incarnarsi nell’ultimo. Quale nascita è più scandalosa e unica e rivoluzionaria di questa? Persino la madre, Maria, è chiamata da Dante “figlia del suo figlio” (e ci vorranno secoli per venire teologicamente a capo di questo).

Per celebrare la nascita di Gesù, la notte di Natale del 1223, Francesco d’Assisi, previa autorizzazione pontificia, inventò nella storia del cristianesimo il primo Presepe. Questo fu rappresentato in una grotta a Greccio, detta oggi Cappella del Presepio, all’interno del Santuario. Nella Vita prima di Tommaso da Celano ricorda le parole del Santo: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Ecco il nucleo fondamentale del primo presepio: «la greppia», la mangiatoia; «gli occhi del corpo», ovvero ciò che il corpo sente in condizioni di disagio e sofferenza quando «mancano le cose necessarie»; il bue, l’asinello.
Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore descrive così questo primo presepio:

«I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. Francesco stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia. Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli chiama "il bimbo di Betlemme". Un cavaliere virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia e si era legato di grande familiarità all'uomo di Dio, messer Giovanni di Greccio, affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno» (Bonaventura, Legenda maior, XX).

E proprio questa descrizione è servita a Giotto da modello per affrescare il presepe nella Basilica superiore di Assisi. L’intenzione di San Francesco a Greccio è esplicita: si tratta di ricordare, attraverso la nascita di Gesù, il «vangelo vivente» e di renderlo così una presenza tangibile in mezzo agli uomini: «Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro».


Il presepio diventa per Francesco luogo messianico, tende a sovrapporsi a Gerusalemme: a Greccio, come scrisse Tommaso da Celano nella Legenda secunda, Francesco tenta di edificare, attraverso il presepe, una seconda Betlemme: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l'asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l'umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme».

A Greccio, dunque, con pochi elementi, San Francesco inventa il presepio e fonda una tradizione la cui influenza artistica, spirituale e teologica è incalcolabile. Il libro che presentiamo ripercorre questa tradizione da un particolare punto di vista, quello della poesia e dei poeti (in Italia e nel mondo). Qui l’originalità dell’antologia: articolare in versi il significato spirituale del presepe. Significato che trascende l’orizzonte della fede per influenzare il mondo laico e ateo. La nascità di Gesù e il suo messaggio hanno una portato universale, che non smette di interrogare e commuovere. «Pace tu sei, Gesù, tu sei pietà: / torna a rifare in terra d’amor la carità» (Pirandello); «Vedi tu, che puoi / avere ascolto. Vedi / almeno tu, in nome / del piccolo Salvatore / cui, così ardentemente, credi / d’invocare per loro / un grano di carità» (Caproni). In un contesto dilaniato da guerre, al di là dei diversi stili poetici, c’è più che mai bisogno della pace e dell’armonia che proviene dal Figlio di Dio. «C’è chi ascolta il pianto del bambino / che morirà poi in croce fra due ladri?» (Quasimodo) – quanto attuale è questa domanda?

A testimoniare della portata del mistero dell’incarnazione rappresentato dal presepe in questa raccolta troviamo poeti maledetti come Verlaine, dandy come Oscar Wilde, esistenzialisti come Sartre, rivoluzionari come Brecht. Di quest’ultimo vorrei riportare gli splendidi versi finali della poesia Maria: «Tutto ciò / proveniva dal volto di suo figlio: era leggero, / amava il canto, chiamava a sé i poveri / e aveva l’abitudine di vivere insieme ai re / e di scorgere sul suo capo, la notte, una stella». E come non citare il ritratto che di Giuseppe traccia Sartre? «Adora ed è felice di adorare, e si sente un po’ in esilio. (…) Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per impaarare ad accettare». La nascita di Gesù viene paragonata a un «incendio di luce» rispetto a cui Giuseppe può solo adorare.
Il presepe, dunque, continua a ispirare credenti e non credenti. Mi auguro che queste poesie accompagnino in un viaggio di riflessione e di gioia, e che ispirino a celebrare il Natale in modo più profondo e autentico, per scoprire il vero spirito di questa festa.

Senza dimenticare un’affermazione decisiva di Benedetto XVI: «Il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca di vera pace».

Commenta con i lettori I commenti dei lettori

Suggerisci una correzione

C’è stato un giorno in cui nascere ha significato qualcosa di inaudito. Non più un momento del ciclo eterno della natura, che si ripete tornando al punto di partenza («Sempre le stesse cose», diceva Aristotele, descrivendo così il movimento rotatorio del cosmo). C’è stato un giorno in cui nascere ha significato insieme lo spezzarsi di quel cerchio e la sua apertura verso il futuro. La tensione di una retta infinita ha sostituito la figura rassicurante del ciclo naturale. Non è un caso che a partire da quel giorno misuriamo il nostro tempo e la nostra storia. Quel giorno è nato il figlio di Dio, e insieme Dio si è fatto uomo. Per di più, in una grotta «al freddo e al gelo» tra un bue e un asinello. Il principio che si fa piccolo fino a incarnarsi nell’ultimo. Quale nascita è più scandalosa e unica e rivoluzionaria di questa? Persino la madre, Maria, è chiamata da Dante “figlia del suo figlio” (e ci vorranno secoli per venire teologicamente a capo di questo).

Per celebrare la nascita di Gesù, la notte di Natale del 1223, Francesco d’Assisi, previa autorizzazione pontificia, inventò nella storia del cristianesimo il primo Presepe. Questo fu rappresentato in una grotta a Greccio, detta oggi Cappella del Presepio, all’interno del Santuario. Nella Vita prima di Tommaso da Celano ricorda le parole del Santo: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Ecco il nucleo fondamentale del primo presepio: «la greppia», la mangiatoia; «gli occhi del corpo», ovvero ciò che il corpo sente in condizioni di disagio e sofferenza quando «mancano le cose necessarie»; il bue, l’asinello.
Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore descrive così questo primo presepio:

«I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. Francesco stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia. Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli chiama "il bimbo di Betlemme". Un cavaliere virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia e si era legato di grande familiarità all'uomo di Dio, messer Giovanni di Greccio, affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno» (Bonaventura, Legenda maior, XX).

E proprio questa descrizione è servita a Giotto da modello per affrescare il presepe nella Basilica superiore di Assisi. L’intenzione di San Francesco a Greccio è esplicita: si tratta di ricordare, attraverso la nascita di Gesù, il «vangelo vivente» e di renderlo così una presenza tangibile in mezzo agli uomini: «Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro».


Il presepio diventa per Francesco luogo messianico, tende a sovrapporsi a Gerusalemme: a Greccio, come scrisse Tommaso da Celano nella Legenda secunda, Francesco tenta di edificare, attraverso il presepe, una seconda Betlemme: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l'asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l'umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme».

A Greccio, dunque, con pochi elementi, San Francesco inventa il presepio e fonda una tradizione la cui influenza artistica, spirituale e teologica è incalcolabile. Il libro che presentiamo ripercorre questa tradizione da un particolare punto di vista, quello della poesia e dei poeti (in Italia e nel mondo). Qui l’originalità dell’antologia: articolare in versi il significato spirituale del presepe. Significato che trascende l’orizzonte della fede per influenzare il mondo laico e ateo. La nascità di Gesù e il suo messaggio hanno una portato universale, che non smette di interrogare e commuovere. «Pace tu sei, Gesù, tu sei pietà: / torna a rifare in terra d’amor la carità» (Pirandello); «Vedi tu, che puoi / avere ascolto. Vedi / almeno tu, in nome / del piccolo Salvatore / cui, così ardentemente, credi / d’invocare per loro / un grano di carità» (Caproni). In un contesto dilaniato da guerre, al di là dei diversi stili poetici, c’è più che mai bisogno della pace e dell’armonia che proviene dal Figlio di Dio. «C’è chi ascolta il pianto del bambino / che morirà poi in croce fra due ladri?» (Quasimodo) – quanto attuale è questa domanda?

A testimoniare della portata del mistero dell’incarnazione rappresentato dal presepe in questa raccolta troviamo poeti maledetti come Verlaine, dandy come Oscar Wilde, esistenzialisti come Sartre, rivoluzionari come Brecht. Di quest’ultimo vorrei riportare gli splendidi versi finali della poesia Maria: «Tutto ciò / proveniva dal volto di suo figlio: era leggero, / amava il canto, chiamava a sé i poveri / e aveva l’abitudine di vivere insieme ai re / e di scorgere sul suo capo, la notte, una stella». E come non citare il ritratto che di Giuseppe traccia Sartre? «Adora ed è felice di adorare, e si sente un po’ in esilio. (…) Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per impaarare ad accettare». La nascita di Gesù viene paragonata a un «incendio di luce» rispetto a cui Giuseppe può solo adorare.
Il presepe, dunque, continua a ispirare credenti e non credenti. Mi auguro che queste poesie accompagnino in un viaggio di riflessione e di gioia, e che ispirino a celebrare il Natale in modo più profondo e autentico, per scoprire il vero spirito di questa festa.

Senza dimenticare un’affermazione decisiva di Benedetto XVI: «Il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca di vera pace».

QOSHE - Un Natale da poeti - Padre Enzo Fortunato
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Un Natale da poeti

4 0
24.12.2023

C’è stato un giorno in cui nascere ha significato qualcosa di inaudito. Non più un momento del ciclo eterno della natura, che si ripete tornando al punto di partenza («Sempre le stesse cose», diceva Aristotele, descrivendo così il movimento rotatorio del cosmo). C’è stato un giorno in cui nascere ha significato insieme lo spezzarsi di quel cerchio e la sua apertura verso il futuro. La tensione di una retta infinita ha sostituito la figura rassicurante del ciclo naturale. Non è un caso che a partire da quel giorno misuriamo il nostro tempo e la nostra storia. Quel giorno è nato il figlio di Dio, e insieme Dio si è fatto uomo. Per di più, in una grotta «al freddo e al gelo» tra un bue e un asinello. Il principio che si fa piccolo fino a incarnarsi nell’ultimo. Quale nascita è più scandalosa e unica e rivoluzionaria di questa? Persino la madre, Maria, è chiamata da Dante “figlia del suo figlio” (e ci vorranno secoli per venire teologicamente a capo di questo).

Per celebrare la nascita di Gesù, la notte di Natale del 1223, Francesco d’Assisi, previa autorizzazione pontificia, inventò nella storia del cristianesimo il primo Presepe. Questo fu rappresentato in una grotta a Greccio, detta oggi Cappella del Presepio, all’interno del Santuario. Nella Vita prima di Tommaso da Celano ricorda le parole del Santo: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Ecco il nucleo fondamentale del primo presepio: «la greppia», la mangiatoia; «gli occhi del corpo», ovvero ciò che il corpo sente in condizioni di disagio e sofferenza quando «mancano le cose necessarie»; il bue, l’asinello.
Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore descrive così questo primo presepio:

«I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. Francesco stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia. Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli chiama "il bimbo di Betlemme". Un cavaliere virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia e si era legato di grande familiarità all'uomo di Dio, messer Giovanni di Greccio, affermò di avere veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo bimbo addormentato che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno» (Bonaventura, Legenda maior, XX).

E proprio questa descrizione è servita a Giotto da modello per affrescare il presepe nella Basilica superiore di Assisi. L’intenzione di San Francesco a Greccio è esplicita: si tratta di ricordare, attraverso la nascita di Gesù, il «vangelo vivente» e di renderlo così una presenza tangibile in mezzo agli uomini: «Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma........

© HuffPost


Get it on Google Play