A poche ore dalla decisione della Corte internazionale di giustizia in merito alle accuse del Sudafrica a Israele che ha ripetuto, se mai ce ne fosse stato bisogno, che anche in guerra ci sono delle regole (che purtroppo non escludono la morte involontaria di civili), è giunta la notizia che una dozzina di non meglio identificati impiegati dell’Agenzia delle Nazioni unite per l’assistenza (relief) e il lavoro, Unrwa sarebbero implicati negli attacchi di Hamas il 7 ottobre scorso.

La prima risposta dei maggiori donatori - Usa, Canada, Australia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Italia - è stata quella di sospendere i finanziamenti all’agenzia che impiega 13.000 persone, nella stragrande maggioranza dei casi palestinesi e che, dopo l’amministrazione, offre una delle pochissime occasioni di impiego a Gaza. L'agenzia era già in difficoltà all’indomani dell’aggressione di Hamas; adesso, visto chi ha bloccato i trasferimenti, è al totale collasso. Potrebbe sembrare l’ennesima sproporzione e discriminazione nei confronti dei palestinesi e in effetti nei fatti lo è: un conto sono le esigenze di quasi due milioni di persone che da quasi quattro mesi vivono sotto i bombardamenti e un altro il comportamento criminale di un gruppetto. Altro ancora, l’intero impianto dell’agenzia.

Unrwa è un organo sussidiario delle Nazioni Unite, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel dicembre 1949 (operativa dal 1 maggio 1950). l'Agenzia ha il compito di fornire assistenza e protezione ai profughi palestinesi e il suo mandato è rinnovato ogni tre anni dall’Assemblea Generale. Dall’inizio delle operazioni nel 1950 ha “adattato e migliorato i suoi programmi per soddisfare le esigenze sempre più complesse dei rifugiati palestinesi per fornire loro una misura di protezione e stabilità in mezzo al conflitto cronico nel regione”. L'Agenzia ha operato sia in tempi di pace che di conflitto. Oggi è la principale fonte di approvvigionamento di beni di prima necessità, servizi, istruzione, sanità, assistenza e servizi sociali per 5,7 milioni di persone registrate nelle sue aree di intervento: Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania e Gaza.

Nel momento in cui la situazione è incandescente, eppure un accordo sembrerebbe possibile grazie alla mediazione franco-qatarina, bloccare quasi la metà dei fondi tornerebbe ad aggravare nuovamente la situazione su più fronti: il primo sono le necessità di sostegno vitale per oltre cinque milioni di persone, il secondo è il riacuirsi dell’odio nei confronti di chi si è schierato apertamente con il diritto alla legittima difesa di Israele, il terzo il rafforzamento del ruolo di assistenza informale e incontrollabile di altri donatori come Iran e i suoi tentacoli, il quarto è la sostituzione di regimi democratici con altri autoritari (Arabia saudita, Qatar, Emirati, Cina e Russia) e, ultimo ma non ultimo, un disimpegno circa la necessità di rivedere radicalmente il mandato dell’Agenzia stessa.

L’Italia dona poco - 15 milioni di euro nel 2022 - ma è presidente di turno del G7. Pur essendosi molto avvicinata a Israele negli ultimi 20 anni, lo ha fatto più per motivi di consonanza politica tra i governi che nel tentativo di favorire non tanto il dialogo tra le parti quanto il perseguimento di percorsi strutturalmente diversi di pacificazione della regione. Essere pur sempre il paese il cui regime fascista ha ispirato il federalismo europeo dovrebbe suggerire comportamenti diversi.

La responsabilità penale delle 12 persone implicate, che secondo alcuni avrebbero addirittura partecipato direttamente agli attacchi del 7 ottobre, è individuale. Licenziarli è stato un provvedimento disciplinare, adesso dovranno esser processate, magari dalla Corte penale internazionale che ha ricevuto da Messico e Cile il mandato a indagare, ma sospendere gli aiuti a milioni di persone non accelererà le indagini né inviterà chi sa a collaborare nella ricostruzione dei fatti. All’epoca della seconda guerra nel Golfo c’era chi parlava di “vincere le menti e i cuori” senza però far niente per passare dalle parole ai fatti, oggi non ci si pone più neanche il problema di tentare di gettare le basi per un futuro di segno diverso per una parte del mondo in guerra con se stessa dalla fine del secondo conflitto mondiale. Nei giorni in cui l’Italia vuole rifarsi una verginità in Africa sarebbe opportuno che non procedesse per compartimenti stagni e che ponesse la questione di cosa, come e con chi fare qualcosa in Medio Oriente (almeno) coi partner europei. La ricerca della stabilità, non dico di pace, libertà o democrazia, non può continuare a passare attraverso prove di forza militare o economica.

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A poche ore dalla decisione della Corte internazionale di giustizia in merito alle accuse del Sudafrica a Israele che ha ripetuto, se mai ce ne fosse stato bisogno, che anche in guerra ci sono delle regole (che purtroppo non escludono la morte involontaria di civili), è giunta la notizia che una dozzina di non meglio identificati impiegati dell’Agenzia delle Nazioni unite per l’assistenza (relief) e il lavoro, Unrwa sarebbero implicati negli attacchi di Hamas il 7 ottobre scorso.

La prima risposta dei maggiori donatori - Usa, Canada, Australia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Italia - è stata quella di sospendere i finanziamenti all’agenzia che impiega 13.000 persone, nella stragrande maggioranza dei casi palestinesi e che, dopo l’amministrazione, offre una delle pochissime occasioni di impiego a Gaza. L'agenzia era già in difficoltà all’indomani dell’aggressione di Hamas; adesso, visto chi ha bloccato i trasferimenti, è al totale collasso. Potrebbe sembrare l’ennesima sproporzione e discriminazione nei confronti dei palestinesi e in effetti nei fatti lo è: un conto sono le esigenze di quasi due milioni di persone che da quasi quattro mesi vivono sotto i bombardamenti e un altro il comportamento criminale di un gruppetto. Altro ancora, l’intero impianto dell’agenzia.

Unrwa è un organo sussidiario delle Nazioni Unite, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel dicembre 1949 (operativa dal 1 maggio 1950). l'Agenzia ha il compito di fornire assistenza e protezione ai profughi palestinesi e il suo mandato è rinnovato ogni tre anni dall’Assemblea Generale. Dall’inizio delle operazioni nel 1950 ha “adattato e migliorato i suoi programmi per soddisfare le esigenze sempre più complesse dei rifugiati palestinesi per fornire loro una misura di protezione e stabilità in mezzo al conflitto cronico nel regione”. L'Agenzia ha operato sia in tempi di pace che di conflitto. Oggi è la principale fonte di approvvigionamento di beni di prima necessità, servizi, istruzione, sanità, assistenza e servizi sociali per 5,7 milioni di persone registrate nelle sue aree di intervento: Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania e Gaza.

Nel momento in cui la situazione è incandescente, eppure un accordo sembrerebbe possibile grazie alla mediazione franco-qatarina, bloccare quasi la metà dei fondi tornerebbe ad aggravare nuovamente la situazione su più fronti: il primo sono le necessità di sostegno vitale per oltre cinque milioni di persone, il secondo è il riacuirsi dell’odio nei confronti di chi si è schierato apertamente con il diritto alla legittima difesa di Israele, il terzo il rafforzamento del ruolo di assistenza informale e incontrollabile di altri donatori come Iran e i suoi tentacoli, il quarto è la sostituzione di regimi democratici con altri autoritari (Arabia saudita, Qatar, Emirati, Cina e Russia) e, ultimo ma non ultimo, un disimpegno circa la necessità di rivedere radicalmente il mandato dell’Agenzia stessa.

L’Italia dona poco - 15 milioni di euro nel 2022 - ma è presidente di turno del G7. Pur essendosi molto avvicinata a Israele negli ultimi 20 anni, lo ha fatto più per motivi di consonanza politica tra i governi che nel tentativo di favorire non tanto il dialogo tra le parti quanto il perseguimento di percorsi strutturalmente diversi di pacificazione della regione. Essere pur sempre il paese il cui regime fascista ha ispirato il federalismo europeo dovrebbe suggerire comportamenti diversi.

La responsabilità penale delle 12 persone implicate, che secondo alcuni avrebbero addirittura partecipato direttamente agli attacchi del 7 ottobre, è individuale. Licenziarli è stato un provvedimento disciplinare, adesso dovranno esser processate, magari dalla Corte penale internazionale che ha ricevuto da Messico e Cile il mandato a indagare, ma sospendere gli aiuti a milioni di persone non accelererà le indagini né inviterà chi sa a collaborare nella ricostruzione dei fatti. All’epoca della seconda guerra nel Golfo c’era chi parlava di “vincere le menti e i cuori” senza però far niente per passare dalle parole ai fatti, oggi non ci si pone più neanche il problema di tentare di gettare le basi per un futuro di segno diverso per una parte del mondo in guerra con se stessa dalla fine del secondo conflitto mondiale. Nei giorni in cui l’Italia vuole rifarsi una verginità in Africa sarebbe opportuno che non procedesse per compartimenti stagni e che ponesse la questione di cosa, come e con chi fare qualcosa in Medio Oriente (almeno) coi partner europei. La ricerca della stabilità, non dico di pace, libertà o democrazia, non può continuare a passare attraverso prove di forza militare o economica.

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La punizione collettiva di Unrwa non risolve e danneggia Gaza

3 11
29.01.2024

A poche ore dalla decisione della Corte internazionale di giustizia in merito alle accuse del Sudafrica a Israele che ha ripetuto, se mai ce ne fosse stato bisogno, che anche in guerra ci sono delle regole (che purtroppo non escludono la morte involontaria di civili), è giunta la notizia che una dozzina di non meglio identificati impiegati dell’Agenzia delle Nazioni unite per l’assistenza (relief) e il lavoro, Unrwa sarebbero implicati negli attacchi di Hamas il 7 ottobre scorso.

La prima risposta dei maggiori donatori - Usa, Canada, Australia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Italia - è stata quella di sospendere i finanziamenti all’agenzia che impiega 13.000 persone, nella stragrande maggioranza dei casi palestinesi e che, dopo l’amministrazione, offre una delle pochissime occasioni di impiego a Gaza. L'agenzia era già in difficoltà all’indomani dell’aggressione di Hamas; adesso, visto chi ha bloccato i trasferimenti, è al totale collasso. Potrebbe sembrare l’ennesima sproporzione e discriminazione nei confronti dei palestinesi e in effetti nei fatti lo è: un conto sono le esigenze di quasi due milioni di persone che da quasi quattro mesi vivono sotto i bombardamenti e un altro il comportamento criminale di un gruppetto. Altro ancora, l’intero impianto dell’agenzia.

Unrwa è un organo sussidiario delle Nazioni Unite, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel dicembre 1949 (operativa dal 1 maggio 1950). l'Agenzia ha il compito di fornire assistenza e protezione ai profughi palestinesi e il suo mandato è rinnovato ogni tre anni dall’Assemblea Generale. Dall’inizio delle operazioni nel 1950 ha “adattato e migliorato i suoi programmi per soddisfare le esigenze sempre più complesse dei rifugiati palestinesi per fornire loro una misura di protezione e stabilità in mezzo al conflitto cronico nel regione”. L'Agenzia ha operato sia in tempi di pace che di conflitto. Oggi è la principale fonte di approvvigionamento di beni di prima necessità, servizi, istruzione, sanità, assistenza e servizi sociali per 5,7 milioni di persone registrate nelle sue aree di intervento: Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania e Gaza.

Nel momento in cui la situazione è incandescente, eppure un accordo sembrerebbe possibile grazie alla mediazione franco-qatarina, bloccare quasi la metà dei fondi tornerebbe ad aggravare nuovamente la........

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