Sono tre i paesi europei - Germania, Paesi Bassi e Danimarca - che hanno partecipato ai bombardamenti della missione Made in Usa "Prosperity Guardian" fornendo sostegno logistico agli attacchi contro decina di obiettivi militari in Yemen. L’Italia, come la Francia, ha assicurato una partecipazione politico-diplomatica senza assumersi per il momento responsabilità militari. Il governo Meloni, reduce dall'aver incassato l'ok del Parlamento per continuare il sostegno, anche militare, all’Ucraina, ha giustificato questa sua assenza chiarendo che la partecipazione non era stata richiesta e che comunque dovrebbe ottenere il consenso delle Camere.

I bombardamenti anglo-americani (partiti da suolo cipriiota dove il Regno unito mantiene due basi miilitari extra-territoriali) fanno seguito a una serie di attacchi del gruppo politico-militare degli Houthi contro navi di varie nazionalità nel Mar Rosso. Fin da ottobre scorso gli Houthi hanno fatto sapere che avrebbero preso di mira navi israeliane o carichi provenienti da o diretti in Israele nel tentativo di sostenere i palestinesi sotto i bombardamenti israeliani a Gaza.

Non un missile italiano cadrà sullo Yemen

di Pietro Salvatori

Mohammed Abdul Salam, uno dei portavoce degli Houthi, ha confermato sui social che il gruppo rimarrà al fianco di Gaza e che non c'era giustificazione per gli attacchi allo Yemen perché le azioni delle settimane scorse non hanno minacciato il trasporto marittimo internazionale. In un'intervista ad Al Jazeera Salam ha minacciato che le forze Houthi avrebbero reagito agli attacchi e che “senza dubbio” la risposta sarebbe stata più ampia. Hamas e Hezbollah, che come gli Houthi sono sostenuti dall’Iran, hanno condannato gli attacchi con Hamas che li ha definiti “atti di terrorismo”, una violazione della sovranità dello Yemen che rappresenta una vera e propria “minaccia alla sicurezza della regione”. Teheran li ritiene invece “una violazione delle leggi internazionali” che “non avranno altro risultato se non quello di alimentare l'insicurezza e l’instabilità nella regione”.

Quando non si imbarcano direttamente in operazioni militari, da sempre gli Stati Uniti praticano la cosiddetta “diplomazia muscolosa”; i bombardamenti del 10 gennaio seguono infatti settimane di incontri e contatti avuti dal Segretario di Stato Antony Blinken: da una parte gli Usa stanno cercando di favorire il rilascio degli ostaggi, un rilancio dell'amministrazione palestinese - magari con la partecipazione di poteri garanti regionali tra i meno anti-israeliani - e una progressiva moderazione nella risposta militare da parte di Gerusalemme dall'altra però hanno sempre il dito sul grilletto. Blinken è stato letteralmente dappertutto in Medio Oriente tranne che a Teheran e non è un caso se i tentacoli iraniani di Hezbollah a nord di Israele e gli Houthi a sud hanno colto l’occasione di un parziale ritiro dell'esercito dello Stato ebraico per far fuoco contro gli arci-nemici.

L'Italia, che insieme alla Germania potrebbe avere qualche entratura in più di molti altri paesi europei con l’Iran, e quindi favorire una distensione militare in modo da non aprire nuovi fronti di bombardamenti in una parte del mondo potenzialmente esplosiva, ha tutto l'interesse a non prendere parte diretta alle operazioni militari. In primis perché in quelle zone in Yemen ci sono pozzi di petrolio e alcune bombe sono cadute vicino ai confini con l'Arabia saudita il cui conflitto con gli Houthi è solo sospeso, in seconda battuta perché nella riva occidentale del Mar Rosso si trovano paesi "amici" come Eritrea, Etiopia e Sudan dove le situazioni nazionali restano particolarmente volatili. Allo stesso tempo va tenuto presente che un'escalation militare navale si concentrerebbe anche davanti alla costa africana dello stretto Bab-el-Mandeb, tra l'Eritrea e in Gibuti dove perfino i cinesi hanno una base navale.

Voto favorevole del Parlamento a parte, probabile ma non necessariamente scontato, in assenza di interessi nazionali a rischio o colpiti dagli Houthi, infilarsi in operazioni militari transnazionali che prevedono l’uso della forza senza precise regole d’ingaggio dovrebbe avvenire a seguito di decisioni politiche prese nei luoghi deputati e non con una serie di telefonate tra governi. Se si ritiene che il Consiglio di Sicurezza sia inservibile a questo scopo - anche se forse un dibattito con conseguente risoluzione potrebbe attenuare le fratture dei mesi scorsi in seno alle Nazioni unite e quelle che si ripresenteranno quando la Corte internazionale di giustizia avrà deciso in merito a quanto chiesto dal Sudafrica - almeno si pretenda una discussione in sede Nato.

In assenza di una strategia condivisa che guardi ai rischi presenti ma ancor di più alle ripercussioni future di una più ampia militarizzazione del cosiddetto “grande Medio Oriente” meglio restarne fuori per quanto possibile. Non per codardia ma per far sì che il tutto venga concertato con gli alleati e avvenga a norma di diritto internazionale.

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Sono tre i paesi europei - Germania, Paesi Bassi e Danimarca - che hanno partecipato ai bombardamenti della missione Made in Usa "Prosperity Guardian" fornendo sostegno logistico agli attacchi contro decina di obiettivi militari in Yemen. L’Italia, come la Francia, ha assicurato una partecipazione politico-diplomatica senza assumersi per il momento responsabilità militari. Il governo Meloni, reduce dall'aver incassato l'ok del Parlamento per continuare il sostegno, anche militare, all’Ucraina, ha giustificato questa sua assenza chiarendo che la partecipazione non era stata richiesta e che comunque dovrebbe ottenere il consenso delle Camere.

I bombardamenti anglo-americani (partiti da suolo cipriiota dove il Regno unito mantiene due basi miilitari extra-territoriali) fanno seguito a una serie di attacchi del gruppo politico-militare degli Houthi contro navi di varie nazionalità nel Mar Rosso. Fin da ottobre scorso gli Houthi hanno fatto sapere che avrebbero preso di mira navi israeliane o carichi provenienti da o diretti in Israele nel tentativo di sostenere i palestinesi sotto i bombardamenti israeliani a Gaza.

Mohammed Abdul Salam, uno dei portavoce degli Houthi, ha confermato sui social che il gruppo rimarrà al fianco di Gaza e che non c'era giustificazione per gli attacchi allo Yemen perché le azioni delle settimane scorse non hanno minacciato il trasporto marittimo internazionale. In un'intervista ad Al Jazeera Salam ha minacciato che le forze Houthi avrebbero reagito agli attacchi e che “senza dubbio” la risposta sarebbe stata più ampia. Hamas e Hezbollah, che come gli Houthi sono sostenuti dall’Iran, hanno condannato gli attacchi con Hamas che li ha definiti “atti di terrorismo”, una violazione della sovranità dello Yemen che rappresenta una vera e propria “minaccia alla sicurezza della regione”. Teheran li ritiene invece “una violazione delle leggi internazionali” che “non avranno altro risultato se non quello di alimentare l'insicurezza e l’instabilità nella regione”.

Quando non si imbarcano direttamente in operazioni militari, da sempre gli Stati Uniti praticano la cosiddetta “diplomazia muscolosa”; i bombardamenti del 10 gennaio seguono infatti settimane di incontri e contatti avuti dal Segretario di Stato Antony Blinken: da una parte gli Usa stanno cercando di favorire il rilascio degli ostaggi, un rilancio dell'amministrazione palestinese - magari con la partecipazione di poteri garanti regionali tra i meno anti-israeliani - e una progressiva moderazione nella risposta militare da parte di Gerusalemme dall'altra però hanno sempre il dito sul grilletto. Blinken è stato letteralmente dappertutto in Medio Oriente tranne che a Teheran e non è un caso se i tentacoli iraniani di Hezbollah a nord di Israele e gli Houthi a sud hanno colto l’occasione di un parziale ritiro dell'esercito dello Stato ebraico per far fuoco contro gli arci-nemici.

L'Italia, che insieme alla Germania potrebbe avere qualche entratura in più di molti altri paesi europei con l’Iran, e quindi favorire una distensione militare in modo da non aprire nuovi fronti di bombardamenti in una parte del mondo potenzialmente esplosiva, ha tutto l'interesse a non prendere parte diretta alle operazioni militari. In primis perché in quelle zone in Yemen ci sono pozzi di petrolio e alcune bombe sono cadute vicino ai confini con l'Arabia saudita il cui conflitto con gli Houthi è solo sospeso, in seconda battuta perché nella riva occidentale del Mar Rosso si trovano paesi "amici" come Eritrea, Etiopia e Sudan dove le situazioni nazionali restano particolarmente volatili. Allo stesso tempo va tenuto presente che un'escalation militare navale si concentrerebbe anche davanti alla costa africana dello stretto Bab-el-Mandeb, tra l'Eritrea e in Gibuti dove perfino i cinesi hanno una base navale.

Voto favorevole del Parlamento a parte, probabile ma non necessariamente scontato, in assenza di interessi nazionali a rischio o colpiti dagli Houthi, infilarsi in operazioni militari transnazionali che prevedono l’uso della forza senza precise regole d’ingaggio dovrebbe avvenire a seguito di decisioni politiche prese nei luoghi deputati e non con una serie di telefonate tra governi. Se si ritiene che il Consiglio di Sicurezza sia inservibile a questo scopo - anche se forse un dibattito con conseguente risoluzione potrebbe attenuare le fratture dei mesi scorsi in seno alle Nazioni unite e quelle che si ripresenteranno quando la Corte internazionale di giustizia avrà deciso in merito a quanto chiesto dal Sudafrica - almeno si pretenda una discussione in sede Nato.

In assenza di una strategia condivisa che guardi ai rischi presenti ma ancor di più alle ripercussioni future di una più ampia militarizzazione del cosiddetto “grande Medio Oriente” meglio restarne fuori per quanto possibile. Non per codardia ma per far sì che il tutto venga concertato con gli alleati e avvenga a norma di diritto internazionale.

QOSHE - L’Italia fa bene a star fuori dal Mar Rosso - Marco Perduca
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L’Italia fa bene a star fuori dal Mar Rosso

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12.01.2024

Sono tre i paesi europei - Germania, Paesi Bassi e Danimarca - che hanno partecipato ai bombardamenti della missione Made in Usa "Prosperity Guardian" fornendo sostegno logistico agli attacchi contro decina di obiettivi militari in Yemen. L’Italia, come la Francia, ha assicurato una partecipazione politico-diplomatica senza assumersi per il momento responsabilità militari. Il governo Meloni, reduce dall'aver incassato l'ok del Parlamento per continuare il sostegno, anche militare, all’Ucraina, ha giustificato questa sua assenza chiarendo che la partecipazione non era stata richiesta e che comunque dovrebbe ottenere il consenso delle Camere.

I bombardamenti anglo-americani (partiti da suolo cipriiota dove il Regno unito mantiene due basi miilitari extra-territoriali) fanno seguito a una serie di attacchi del gruppo politico-militare degli Houthi contro navi di varie nazionalità nel Mar Rosso. Fin da ottobre scorso gli Houthi hanno fatto sapere che avrebbero preso di mira navi israeliane o carichi provenienti da o diretti in Israele nel tentativo di sostenere i palestinesi sotto i bombardamenti israeliani a Gaza.

Non un missile italiano cadrà sullo Yemen

di Pietro Salvatori

Mohammed Abdul Salam, uno dei portavoce degli Houthi, ha confermato sui social che il gruppo rimarrà al fianco di Gaza e che non c'era giustificazione per gli attacchi allo Yemen perché le azioni delle settimane scorse non hanno minacciato il trasporto marittimo internazionale. In un'intervista ad Al Jazeera Salam ha minacciato che le forze Houthi avrebbero reagito agli attacchi e che “senza dubbio” la risposta sarebbe stata più ampia. Hamas e Hezbollah, che come gli Houthi sono sostenuti dall’Iran, hanno condannato gli attacchi con Hamas che li ha definiti “atti di terrorismo”, una violazione della sovranità dello Yemen che rappresenta una vera e propria “minaccia alla sicurezza della regione”. Teheran li ritiene invece “una violazione delle leggi internazionali” che “non avranno altro risultato se non quello di alimentare l'insicurezza e l’instabilità nella regione”.

Quando non si imbarcano direttamente in operazioni militari, da sempre gli Stati Uniti praticano la cosiddetta “diplomazia muscolosa”; i bombardamenti del 10 gennaio seguono infatti settimane di incontri e contatti avuti dal Segretario di Stato Antony Blinken: da una parte gli Usa stanno cercando di favorire il rilascio degli ostaggi, un rilancio dell'amministrazione palestinese - magari con........

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