516 miliardi di euro. È l’ammontare dei titoli di Stato italiani emessi nel 2023. Btp ordinari, i nuovissimi Btp Valore, i BOT, i CCT e tutte le altre obbligazioni di cui lo Stato si serve per finanziare più o meno la metà della spesa pubblica. È debito: io presto allo Stato diecimila euro, questi mi riconosce un interesse periodico in percentuale sull’ammontare e alla scadenza prefissata riprendo i miei diecimila euro.

Ora, in una corretta logica di incentivazione all’acquisto, quando un investitore compra un titolo di Stato, tranne rare eccezioni (come per i BOT), la legge vieta all’intermediario di fargli pagare commissioni. Altresì, le banche non lavorano per spirito patrio: è che la commissione la paga lo Stato. Parliamo – per i BTP – di percentuali che oscillano dallo 0,15 allo 0,50% del totale. Esempio pratico: i correntisti della banca X hanno investito 10 milioni di euro in BTP Valore (commissione a 0,50%). La banca X si pappa 50mila euro solo per aver trasmesso l’ordine di acquisto allo Stato.

Poca cosa, si potrebbe dire; ma immaginatelo con quei famosi 516 miliardi: siamo tra i 1 e 2 miliardi di euro di commissioni (per cifra esatta andrebbe fatto conteggio preciso e sarebbe lavoro mastodontico). Sono soldi, tanti, spesi solo per un’intermediazione, che rappresenta proprio il punto in essere.

Se vuoi infatti comprare titoli di Stato e non vuoi farlo sul mercato secondario (brutalizzo per ragioni di spazio: quello dell’usato) hai due modi per farlo: se è un titolo retail (come BTp Valore, Btp Italia ecc.) puoi farlo tramite qualsiasi intermediario; ma se vuoi partecipare alle aste, dove passano il 90% e oltre dei Btp, puoi farlo solo se hai un conto titoli presso uno degli intermediari definiti “specialisti in titoli di Stato” (o se la tua banca ha un accordo con loro), enormi dealer che hanno l’esclusiva e che sono pochi, 20 in totale, ma di cui solo 5 sono banche dove un normale cittadino potrebbe avere il conto (il resto è Goldman Sachs, J.P. Morgan ecc.).

Altre strade non ce ne sono. È un sistema chiuso che da un lato costa abbastanza caro allo Stato, mentre dall’altro ostacola una meta intelligente (per altro condivisa da questo governo): la nazionalizzazione del debito. Tradotto: è meglio se quel BTP se lo tiene in tasca Mario, pensionato italiano, piuttosto che un hedge fund samoano.

A questo si deve allora porre rimedio, sia per attenuare la prima problematica che per rimuovere il secondo ostacolo. Il modo è semplice: copiare il Treasury Direct. Che cos’è? È una pagina sul sito del Tesoro degli Stati Uniti dove i cittadini possono liberamente registrarsi, collegare conto titoli e acquistare lì i bond. Non c’è intermediazione: vai e investi. Se lo facessimo anche da noi, risparmieremmo decine di milioni. Per capirlo, facciamo un esempio e prendiamo il solo BTP Valore, rivolto ai piccoli risparmiatori. Siamo oggi a quasi 54 miliardi con 3 emissioni: qui le banche si sono prese di più 270 milioni di commissioni (0,50 + uno 0,07% addizionale solo per le specialiste in titoli di Stato). Ecco, se anche solo il 5% degli ordini fosse stato trasmesso su un Treasury Direct italiano, si sarebbero risparmiati 13,5 milioni di euro: buttali via, in un Paese dove scuola e sanità cadono a pezzi.

Si può fare questo e anche di più: possiamo liberalizzare il settore. Facciamo che se compri da solo puoi farlo (anche in asta) e lo Stato non paga commissioni. Alternativamente, ti rivolgi a un intermediario tradizionale come già avviene o (novità) a un intermediario nuovo: il tuo commercialista, il tuo consulente finanziario, il tuo CAF. Questi sul sito si creano un account delegato et voilà, possono acquistare per conto di clienti. E a loro, sì, dai una piccola commissione: dallo 0,1 allo 0,2%, magari (quindi meno, risparmi anche qui).

Questo perché se la logica è aumentare il retail, quale miglior modo se non incentivare capillarmente centinaia di migliaia di micro-operatori su tutto il territorio nazionale a consigliare ai risparmiatori di investire nel debito pubblico?

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516 miliardi di euro. È l’ammontare dei titoli di Stato italiani emessi nel 2023. Btp ordinari, i nuovissimi Btp Valore, i BOT, i CCT e tutte le altre obbligazioni di cui lo Stato si serve per finanziare più o meno la metà della spesa pubblica. È debito: io presto allo Stato diecimila euro, questi mi riconosce un interesse periodico in percentuale sull’ammontare e alla scadenza prefissata riprendo i miei diecimila euro.

Ora, in una corretta logica di incentivazione all’acquisto, quando un investitore compra un titolo di Stato, tranne rare eccezioni (come per i BOT), la legge vieta all’intermediario di fargli pagare commissioni. Altresì, le banche non lavorano per spirito patrio: è che la commissione la paga lo Stato. Parliamo – per i BTP – di percentuali che oscillano dallo 0,15 allo 0,50% del totale. Esempio pratico: i correntisti della banca X hanno investito 10 milioni di euro in BTP Valore (commissione a 0,50%). La banca X si pappa 50mila euro solo per aver trasmesso l’ordine di acquisto allo Stato.

Poca cosa, si potrebbe dire; ma immaginatelo con quei famosi 516 miliardi: siamo tra i 1 e 2 miliardi di euro di commissioni (per cifra esatta andrebbe fatto conteggio preciso e sarebbe lavoro mastodontico). Sono soldi, tanti, spesi solo per un’intermediazione, che rappresenta proprio il punto in essere.

Se vuoi infatti comprare titoli di Stato e non vuoi farlo sul mercato secondario (brutalizzo per ragioni di spazio: quello dell’usato) hai due modi per farlo: se è un titolo retail (come BTp Valore, Btp Italia ecc.) puoi farlo tramite qualsiasi intermediario; ma se vuoi partecipare alle aste, dove passano il 90% e oltre dei Btp, puoi farlo solo se hai un conto titoli presso uno degli intermediari definiti “specialisti in titoli di Stato” (o se la tua banca ha un accordo con loro), enormi dealer che hanno l’esclusiva e che sono pochi, 20 in totale, ma di cui solo 5 sono banche dove un normale cittadino potrebbe avere il conto (il resto è Goldman Sachs, J.P. Morgan ecc.).

Altre strade non ce ne sono. È un sistema chiuso che da un lato costa abbastanza caro allo Stato, mentre dall’altro ostacola una meta intelligente (per altro condivisa da questo governo): la nazionalizzazione del debito. Tradotto: è meglio se quel BTP se lo tiene in tasca Mario, pensionato italiano, piuttosto che un hedge fund samoano.

A questo si deve allora porre rimedio, sia per attenuare la prima problematica che per rimuovere il secondo ostacolo. Il modo è semplice: copiare il Treasury Direct. Che cos’è? È una pagina sul sito del Tesoro degli Stati Uniti dove i cittadini possono liberamente registrarsi, collegare conto titoli e acquistare lì i bond. Non c’è intermediazione: vai e investi. Se lo facessimo anche da noi, risparmieremmo decine di milioni. Per capirlo, facciamo un esempio e prendiamo il solo BTP Valore, rivolto ai piccoli risparmiatori. Siamo oggi a quasi 54 miliardi con 3 emissioni: qui le banche si sono prese di più 270 milioni di commissioni (0,50 + uno 0,07% addizionale solo per le specialiste in titoli di Stato). Ecco, se anche solo il 5% degli ordini fosse stato trasmesso su un Treasury Direct italiano, si sarebbero risparmiati 13,5 milioni di euro: buttali via, in un Paese dove scuola e sanità cadono a pezzi.

Si può fare questo e anche di più: possiamo liberalizzare il settore. Facciamo che se compri da solo puoi farlo (anche in asta) e lo Stato non paga commissioni. Alternativamente, ti rivolgi a un intermediario tradizionale come già avviene o (novità) a un intermediario nuovo: il tuo commercialista, il tuo consulente finanziario, il tuo CAF. Questi sul sito si creano un account delegato et voilà, possono acquistare per conto di clienti. E a loro, sì, dai una piccola commissione: dallo 0,1 allo 0,2%, magari (quindi meno, risparmi anche qui).

Questo perché se la logica è aumentare il retail, quale miglior modo se non incentivare capillarmente centinaia di migliaia di micro-operatori su tutto il territorio nazionale a consigliare ai risparmiatori di investire nel debito pubblico?

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15.03.2024

516 miliardi di euro. È l’ammontare dei titoli di Stato italiani emessi nel 2023. Btp ordinari, i nuovissimi Btp Valore, i BOT, i CCT e tutte le altre obbligazioni di cui lo Stato si serve per finanziare più o meno la metà della spesa pubblica. È debito: io presto allo Stato diecimila euro, questi mi riconosce un interesse periodico in percentuale sull’ammontare e alla scadenza prefissata riprendo i miei diecimila euro.

Ora, in una corretta logica di incentivazione all’acquisto, quando un investitore compra un titolo di Stato, tranne rare eccezioni (come per i BOT), la legge vieta all’intermediario di fargli pagare commissioni. Altresì, le banche non lavorano per spirito patrio: è che la commissione la paga lo Stato. Parliamo – per i BTP – di percentuali che oscillano dallo 0,15 allo 0,50% del totale. Esempio pratico: i correntisti della banca X hanno investito 10 milioni di euro in BTP Valore (commissione a 0,50%). La banca X si pappa 50mila euro solo per aver trasmesso l’ordine di acquisto allo Stato.

Poca cosa, si potrebbe dire; ma immaginatelo con quei famosi 516 miliardi: siamo tra i 1 e 2 miliardi di euro di commissioni (per cifra esatta andrebbe fatto conteggio preciso e sarebbe lavoro mastodontico). Sono soldi, tanti, spesi solo per un’intermediazione, che rappresenta proprio il punto in essere.

Se vuoi infatti comprare titoli di Stato e non vuoi farlo sul mercato secondario (brutalizzo per ragioni di spazio: quello dell’usato) hai due modi per farlo: se è un titolo retail (come BTp Valore, Btp Italia ecc.) puoi farlo tramite qualsiasi intermediario; ma se vuoi partecipare alle aste, dove passano il 90% e oltre dei Btp, puoi farlo solo se hai un conto titoli presso uno degli intermediari definiti “specialisti in titoli di Stato” (o se la tua banca ha un accordo con loro), enormi dealer che hanno l’esclusiva e che sono pochi, 20 in totale, ma di cui solo 5 sono banche dove un normale cittadino potrebbe avere il conto (il resto è Goldman Sachs, J.P. Morgan ecc.).

Altre strade non ce ne sono.........

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