Si moltiplicano gli appelli di svariate associazioni e della stessa Chiesa ufficiale di marcare con maggior efficacia, coraggio e determinazione la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana. Un tema certamente antico ma che negli ultimi tempi ha assunto un nuovo vigore. E questo non solo perché non si può fare a meno nella cittadella politica italiana del contributo determinante della cultura dei cattolici ma anche, e soprattutto, per la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente che proviene storicamente da quel mondo.

È dei giorni scorsi una interessante e suggestiva riflessione dell’Arcivescovo di Torino, Mons. Roberto Repole, durante l’incontro con gli amministratori locali e i politici della diocesi torinese. Un intervento che ha incoraggiato i cattolici e i cristiani, seppur nel rigoroso rispetto del pluralismo politico dei credenti, ad assumere un ruolo che non li renda più marginali o del tutto ininfluenti all’interno dei vari partiti. A partire dai problemi che coinvolgono concretamente le persone e dove proprio i cattolici devono essere più sensibili per la cultura che li ispira nell’ impegno pubblico, politico ed amministrativo. E cioè, sanità, disuguaglianze, lavoro, povertà, stato sociale, servizi alla persona solo per citare le sfide più importanti e più impellenti.

Ora, per uscire dalla sola testimonianza e dalla sostanziale irrilevanza nei vari partiti - per non dire in tutti i partiti - sono necessari almeno due atteggiamenti di fondo.

Innanzitutto non ci si può ridurre a puri gregari. La stagione dei “cattolici indipendenti di sinistra” da un lato, tesi cara al vecchio Pci e al nuovo corso della Schlein e, dall’altro, l’esperienza di una presenza meramente personale e quindi politicamente inconsistente, sono due modelli che non possono e non devono più essere riproposti. Perché si tratterebbe di consolidare un ruolo non solo minoritario ma irrilevante nei partiti e nelle relative coalizioni.

In secondo luogo, e tenendo conto che la stagione del cosiddetto “partito identitario” è ormai alle nostre spalle, l’unico modo per poter condizionare il progetto politico complessivo del singolo “partito plurale” resta quello di costruire un’area o una corrente o un luogo dove sia possibile far emergere una identità politica e culturale per poi, laicamente, saperla mediare con altri apporti culturali in vista della definizione delle politiche di settore. Solo così è possibile dar vita ad una potenziale e possibile convergenza politica trasversale sui singoli temi che attengono ai bisogni, alle attese e alle esigenze primordiali delle persone. A partire dai ceti popolari e da quelle fasce sociali che patiscono maggiormente sulla loro pelle i morsi della crisi della società contemporanea.

Ecco perché gli appelli che partono dalla variegata, complessa e articolata galassia cattolica italiana non possono andare dispersi. Vanno raccolti con intelligenza e responsabilità, ben sapendo che la perdurante assenza attiva e protagonista dei cattolici dalla concreta competizione politica adesso dipenderà unicamente dalla volontà dei cattolici stessi e non più da un “destino cinico e baro”.

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Si moltiplicano gli appelli di svariate associazioni e della stessa Chiesa ufficiale di marcare con maggior efficacia, coraggio e determinazione la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana. Un tema certamente antico ma che negli ultimi tempi ha assunto un nuovo vigore. E questo non solo perché non si può fare a meno nella cittadella politica italiana del contributo determinante della cultura dei cattolici ma anche, e soprattutto, per la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente che proviene storicamente da quel mondo.

È dei giorni scorsi una interessante e suggestiva riflessione dell’Arcivescovo di Torino, Mons. Roberto Repole, durante l’incontro con gli amministratori locali e i politici della diocesi torinese. Un intervento che ha incoraggiato i cattolici e i cristiani, seppur nel rigoroso rispetto del pluralismo politico dei credenti, ad assumere un ruolo che non li renda più marginali o del tutto ininfluenti all’interno dei vari partiti. A partire dai problemi che coinvolgono concretamente le persone e dove proprio i cattolici devono essere più sensibili per la cultura che li ispira nell’ impegno pubblico, politico ed amministrativo. E cioè, sanità, disuguaglianze, lavoro, povertà, stato sociale, servizi alla persona solo per citare le sfide più importanti e più impellenti.

Ora, per uscire dalla sola testimonianza e dalla sostanziale irrilevanza nei vari partiti - per non dire in tutti i partiti - sono necessari almeno due atteggiamenti di fondo.

Innanzitutto non ci si può ridurre a puri gregari. La stagione dei “cattolici indipendenti di sinistra” da un lato, tesi cara al vecchio Pci e al nuovo corso della Schlein e, dall’altro, l’esperienza di una presenza meramente personale e quindi politicamente inconsistente, sono due modelli che non possono e non devono più essere riproposti. Perché si tratterebbe di consolidare un ruolo non solo minoritario ma irrilevante nei partiti e nelle relative coalizioni.

In secondo luogo, e tenendo conto che la stagione del cosiddetto “partito identitario” è ormai alle nostre spalle, l’unico modo per poter condizionare il progetto politico complessivo del singolo “partito plurale” resta quello di costruire un’area o una corrente o un luogo dove sia possibile far emergere una identità politica e culturale per poi, laicamente, saperla mediare con altri apporti culturali in vista della definizione delle politiche di settore. Solo così è possibile dar vita ad una potenziale e possibile convergenza politica trasversale sui singoli temi che attengono ai bisogni, alle attese e alle esigenze primordiali delle persone. A partire dai ceti popolari e da quelle fasce sociali che patiscono maggiormente sulla loro pelle i morsi della crisi della società contemporanea.

Ecco perché gli appelli che partono dalla variegata, complessa e articolata galassia cattolica italiana non possono andare dispersi. Vanno raccolti con intelligenza e responsabilità, ben sapendo che la perdurante assenza attiva e protagonista dei cattolici dalla concreta competizione politica adesso dipenderà unicamente dalla volontà dei cattolici stessi e non più da un “destino cinico e baro”.

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Cattolici, o protagonisti o comparse

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23.02.2024

Si moltiplicano gli appelli di svariate associazioni e della stessa Chiesa ufficiale di marcare con maggior efficacia, coraggio e determinazione la presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana. Un tema certamente antico ma che negli ultimi tempi ha assunto un nuovo vigore. E questo non solo perché non si può fare a meno nella cittadella politica italiana del contributo determinante della cultura dei cattolici ma anche, e soprattutto, per la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente che proviene storicamente da quel mondo.

È dei giorni scorsi una interessante e suggestiva riflessione dell’Arcivescovo di Torino, Mons. Roberto Repole, durante l’incontro con gli amministratori locali e i politici della diocesi torinese. Un intervento che ha incoraggiato i cattolici e i cristiani, seppur nel rigoroso rispetto del pluralismo politico dei credenti, ad assumere un ruolo che non li renda più marginali o del tutto ininfluenti all’interno dei vari partiti. A partire dai problemi che coinvolgono concretamente le persone e dove proprio i cattolici devono essere più sensibili per la cultura che li ispira nell’ impegno pubblico, politico ed amministrativo. E cioè, sanità, disuguaglianze, lavoro, povertà, stato sociale, servizi alla persona solo per citare le sfide più importanti e più impellenti.

Ora, per uscire dalla sola testimonianza e dalla sostanziale irrilevanza nei vari partiti - per non dire in tutti i partiti - sono necessari almeno due atteggiamenti di fondo.

Innanzitutto non ci si può ridurre a puri gregari. La stagione dei “cattolici indipendenti di........

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