Diceva il grande Eduardo, con una delle sue brucianti battute, che "essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male". Chissà se l'affermazione di Eduardo è tornata alla mente di Giorgia Meloni accingendosi a dare il via a quella riforma della Costituzione che, istituendo Il premierato dovrebbe rappresentare l'elemento caratterizzante del suo governo. Sul premierato, in una sorta di vero e proprio "rischiatutto”, la Meloni sembra aver puntato tutte le sue carte, ignorando, o fingendo di ignorare, che è proprio sulla riforma delle istituzioni che alcuni suoi autorevoli predecessori,da Bettino Craxi e Massimo D'Alema a Matteo Renzi, hanno bruciato gran parte delle loro ambizioni senza, peraltro, riuscire a condurre in porto i progetti che pure avevano a lungo meditato. Sia chiaro: alla presidente del Consiglio bisogna riconoscere il non indifferente merito di aver avuto il coraggio di porre sul tappeto quel tema delle riforme di fronte al quale, nonostante la loro riconosciuta necessità, molti si sono tirati indietro. Ma il metodo adottato non sembra in realtà dei più felici, più di una ragione. In primo luogo perché il premierato, come abbiamo in più di una occasione ribadito, non è una piccola riforma, ma costituisce un totale ribaltamento dell'attuale assetto costituzionale, ponendo fine a quella bipartizione dei poteri (capo dello Stato e premier) che ne è stato da sempre l'asse portante. È ben noto che l'opinione pubblica non gradisce i mutamenti radicali. In secondo luogo il premierato rientra pienamente nello schema di quel populismo che la Meloni sembrava aver abbandonato ed è preludio di un regime monocratico che inevitabilmente conduce ad una dittatura più o meno morbida. Anche questo alla gente non piace. Del resto che a questo la Meloni punti è confermato da alcune sue recenti dichiarazioni. Facendo riferimento all'ipotesi di un referendum con il quale i cittadini dovrebbero esprimersi per dare la propria adesione a una eventuale riforma, ha detto: "Si tratterà di scegliere se debbano governare i partiti o i cittadini”. Non è un'affermazione particolarmente brillante. Giorgia Meloni, qualora i "no" prevalessero sui "sì“ sarebbe inevitabilmente condannata alle dimissioni. Ecco perché abbiamo, all'inizio, parlato di "rischiatutto". E, dal suo punto dI vista non possiamo non chiederci: ma ne vale la pena? A meno che, come taluni affermano la presidente del Consiglio non abbia assoluto bisogno di un colpo di teatro (quale sarebbe appunto, l’istituzione del premierato) sentendo che sotto i suoi piedi, ad onta del trionfalismo di certi suoi fan, la terra sta cominciando a tremare.

QOSHE - Proponendo il premierato la Meloni “rischiatutto” - Ottorino Gurgo
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Proponendo il premierato la Meloni “rischiatutto”

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24.11.2023

Diceva il grande Eduardo, con una delle sue brucianti battute, che "essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male". Chissà se l'affermazione di Eduardo è tornata alla mente di Giorgia Meloni accingendosi a dare il via a quella riforma della Costituzione che, istituendo Il premierato dovrebbe rappresentare l'elemento caratterizzante del suo governo. Sul premierato, in una sorta di vero e proprio "rischiatutto”, la Meloni sembra aver puntato tutte le sue carte, ignorando, o fingendo di ignorare, che è proprio sulla riforma delle istituzioni che alcuni suoi autorevoli predecessori,da Bettino Craxi e Massimo D'Alema a Matteo Renzi, hanno........

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