Una riforma costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio – mettendo fine a ribaltoni, giochi di Palazzo e governi tecnici – dovrebbe piacere a tutti. E invece, eccolo arrivare puntuale come un treno del Ventennio il solito luogo comune sulla Costituzione “sacra” che non si può toccare. In realtà, trattasi di possibilità prevista proprio dall’articolo 138 della medesima, tanto che nessuno – ad esempio – si scandalizzò quando Massimo D’Alema trovò nel semi-presidenzialismo un punto di equilibrio con le altre forze parlamentari, nel cosiddetto “patto della crostata”.

Quello di confondere le esigenze del Paese con le proprie è un antico vizio della sinistra: con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, Elly Schlein e il suo gruppo di “fricchettoni” sarebbero costretti a trovare un frontman, argomento su cui il centrodestra è in netto vantaggio di un trentennio almeno. E allora è accettabile fare le barricate, perché quella targata centrodestra è una riforma sconveniente, ma è da sfigati menarla sulla resistenza, sul pericolo autoritario e sulle esigenze del Paese che sarebbero “ben altre”.

Se negli ultimi 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 68 governi con una vita media di un anno e mezzo (solo negli ultimi 20 anni abbiamo avuto 12 presidenti del Consiglio) qualcosa andrà pur fatto. E non per un vezzo estetico, ma per una questione di stabilità: un Governo stabile, duraturo, capace di decidere in fretta è un bene dal punto di vista interno e da quello internazionale. In un mondo globalizzato vince chi può decidere in fretta nel breve termine e programmare a medio-lungo termine senza timore di ribaltoni. Altrimenti, vince il tirare a campare, la gestione corrente. Insomma, vincono quelle istituzioni mollicce e inconcludenti a cui ormai siamo assuefatti in questo Paese. Il resto sono chiacchiere.

Aggiornato il 03 novembre 2023 alle ore 16:07

QOSHE - Una riforma contro i giochi di Palazzo - Vito Massimano
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Una riforma contro i giochi di Palazzo

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03.11.2023

Una riforma costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio – mettendo fine a ribaltoni, giochi di Palazzo e governi tecnici – dovrebbe piacere a tutti. E invece, eccolo arrivare puntuale come un treno del Ventennio il solito luogo comune sulla Costituzione “sacra” che non si può toccare. In realtà, trattasi di possibilità prevista proprio dall’articolo 138 della medesima, tanto che nessuno – ad esempio – si scandalizzò quando Massimo........

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