“Primavera”: talento e povertà
L’Arte in genere ha un potere “redentivo”? Nel senso che, oltre a essere ciò che è, architettura, pittura, prosa, musica, e così via, ha impatto o addirittura favorisce i cambiamenti d’epoca? Di certo, l’Arte è precursore storico e sensore invisibile di rivoluzioni “polimorfe” in gestazione, in cui il fatto artistico rivoluzionario in sé precede, accompagna o profetizza fenomeni epocali di cambiamento socio-politico e di costume di un’intera società, nazionale o mondiale. Ora, il bellissimo film Primavera (in uscita nelle sale italiane il 25 dicembre), libera riduzione cinematografica del romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa, Premio Strega 2009, come va collocato in questo contesto? La musica, cioè, è solo un ente astratto e anodino, buona per descrivere situazioni le più disparate, come sostiene il talentuoso regista di opere liriche, Damiano Michieletto, che con “Primavera” firma la sua prima esperienza cinematografica? Ovvero, come sostiene la responsabile della brillante sceneggiatura, Ludovica Rampoldi, la musica rappresenta una sorta di Cupido, sensale dello sposalizio tra talenti, quello cioè dell’anziano maestro Antonio Vivaldi (Michele Riondino) e della giovane violinista ventenne, Cecilia (Tecla Insolia), protagonista del dramma? Lei, dal candore verginale allevata nella fondazione veneziana per orfanelle, l’Ospedale della pietà (più figlio dello sterco del demonio, il denaro, che della carità e delle sue pie opere), al centro dei fatti e misfatti di un mondo che si cela dietro le porte chiuse. Per un’orfana senza dote, marchiata a fuoco da neonata con il logo dell’orfanatrofio come un agnello del gregge, la verginità rappresenta il solo........





















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