Intanto finisci sotto la lente di ingrandimento di qualcuno che spia, entra nei tuoi conti bancari, si infila tra il tuo orecchio e quello del malcapitato interlocutore. Intanto violento i tuoi diritti, nel frattempo passo tutte le carte ai giornalisti affamati di vite da sputtanare (in questo caso pare che fossero proprio alcuni colleghi a chiedere informazioni su quel politico o su quel personaggio noto) e poi forse (non avviene quasi mai) tiro fuori (costruisco a tavolino, avviene quasi sempre) un motivo valido per giustificare intercettazioni, spionaggi e dossier. Prima l’indagine, poi la prova.

Se non ho capito male, funziona più o meno così in questa vicenda dai contorni opachi, per usare un eufemismo. Vicenda in cui in realtà non c’è niente di cui sorprendersi. Funziona così da tempo in questo Paese, aldilà del caso di specie: un magistrato indaga, poi tira fuori la prova. Intanto si attiva la macchina del fango.

I giornalisti non sono che uno strumento utile alla causa. Ora, tornando a oggi, pare che alcuni esponenti della Guardia di Finanza abbiano compulsato la banca dati dell’Antimafia al fine di fornire informazioni alla stampa e creare un’ombra suggestiva su quel politico o quell’imprenditore. Si parla di 800 accessi abusivi ai database che custodivano le operazioni bancarie sospette. Subito il numero uno dell’Antimafia Giovanni Melillo e il procuratore di Perugia Raffaele Cantone hanno chiesto di essere sentiti dal Copasir e dal Csm. Non sappiamo cosa diranno oggi, ma alcune domande sorgono spontanee. Come sono riusciti a sfuggire al controllo di Melillo, persona attenta e preparata? Possibile che nessuno, neanche chi sedeva al suo posto prima di lui cioè Cafiero de Raho, si sia mai accorto di ciò che succedeva in quel Palazzo? Perché la Guardia di Finanza si è esposta a tale rischio? Per amore spontaneo del “giornalismo d’inchiesta”? Domande che probabilmente sarà la presidente della Commissione parlamentare Antimafia a rivolgere ai diretti interessati.

Chissà poi se la Colosimo additerà come “impresentabili” i suoi colleghi… Solo poche settimane fa, infatti, al Fatto Quotidiano, la Colosimo spiegava che chiunque avesse un parente malavitoso era un impresentabile, incandidabile, a meno che non dimostrasse di non lavorare per quel familiare. Tralasciando l’obiezione costituzionale secondo cui è chi accusa a dover provare l’altrui personale colpevolezza, viene da chiedere oggi alla stessa Presidente se secondo il suo modo di ragionare, un finanziere che sembrerebbe applicato alla commissione che lei presiede, fratello del conduttore di Report (più volte indagato, lo diciamo non per trasformarci in giustizialisti di primo ordine ma solo per seguire il ragionamento della Presidente) non debba provare la sua “riservatezza”… Anche al netto di alcune dichiarazioni dello stesso Sigfrido Ranucci che nel 2018, nel corso del processo intentato contro Flavio Tosi, risponde così all’avvocato dell’ex sindaco di Verona, che gli chiede: “Quando lei dice che determinate notizie sull’esito di indagini o sviluppi processuali le acquisisce perché ha un fratello in Guardia di Finanza, lei… è vero intanto che lei ha un fratello in Guardia di Finanza?” Ranucci: “Sì, è vero, sì, sì”. “È vero anche che lei viene a conoscenza di notizie riservate da suo fratello che è in Guardia di Finanza…”, rilancia l’avvocato di Tosi. Ma Ranucci: “È assolutamente falso”. Ristabilire la verità.

Francesca Sabella

Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

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Le vite degli altri

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06.03.2024

Intanto finisci sotto la lente di ingrandimento di qualcuno che spia, entra nei tuoi conti bancari, si infila tra il tuo orecchio e quello del malcapitato interlocutore. Intanto violento i tuoi diritti, nel frattempo passo tutte le carte ai giornalisti affamati di vite da sputtanare (in questo caso pare che fossero proprio alcuni colleghi a chiedere informazioni su quel politico o su quel personaggio noto) e poi forse (non avviene quasi mai) tiro fuori (costruisco a tavolino, avviene quasi sempre) un motivo valido per giustificare intercettazioni, spionaggi e dossier. Prima l’indagine, poi la prova.

Se non ho capito male, funziona più o meno così in questa vicenda dai contorni opachi, per usare un eufemismo. Vicenda in cui in realtà non c’è niente di cui sorprendersi. Funziona così da tempo in questo Paese, aldilà del caso di specie: un magistrato indaga, poi tira fuori la prova. Intanto si attiva la macchina del fango.........

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