Se nelle ore immediate dopo la sconfitta del centrodestra in Sardegna i riflettori erano comprensibilmente tutti puntati sulla presidente del Consiglio, ora l’analisi più approfondita dei dati e dei flussi elettorali sta ponendo in sofferenza soprattutto Matteo Salvini. Perché è certamente vero che la vittoria di Alessandra Todde ha infranto il mito dell’invincibilità di Giorgia Meloni, soprattutto perché è avvenuta contro un candidato- fedelissimo che la premier aveva voluto a tutti i costi, ma sul leader leghista pendono dei numeri impietosi, rispetto alla performance del Carroccio nell’isola. Numeri su cui, ai piani alti di via Bellerio, si è preferito glissare, non optando nemmeno per la linea dell’ironia, usata dalla Meloni davanti ai giornalisti stranieri nel tentativo di sdrammatizzare e allentare la pressione.

Per Salvini, invece, la situazione è più complessa, perché nelle ultime ore si sta allargando la faglia all’interno del suo partito tra le due anime tradizionali, vale a dire quella nordista del “ritorno alle origini” e quella raccolta attorno al segretario che punta ad arrivare all’appuntamento delle Europee insistendo sulla linea sovranista-populista e di forte contrapposizione alle istituzioni europee.

Dagli amministratori locali sta salendo, non a caso, il pressing per uno scatto di reni su dossier come autonomia e terzo mandato, e in quest’ottica pesano come macigni le parole pronunciate dal governatore lombardo Attilio Fontana, che finora aveva mantenuto un profilo molto basso rispetto al dibattito interno al partito e sulle questioni nazionali. «Credo che, al di là di questo momento istituzionale, un ragionamento complessivo lo si debba fare in maniera seria, serena e tranquilla».

Sulla caduta della Lega in Sardegna poi precisa: «Si farà una riflessione al nostro interno per capire se è una questione territoriale o strutturale, nel qual caso bisognerà fare qualche ragionamento'. Dice di non voler mettere in discussione la leadership di Salvini ma poi si chiede se non sia il caso di “fare qualche cambiamento” e aggiunge infine di essere convinto che “il nostro elettorato sia un elettorato moderato che ama la concretezza del fare e le soluzioni ai problemi, ed è quella la direzione verso la quale muoverci'. E poi c’è il vicepresidente del Senato ed ex- ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, che risponde indirettamente al vicesegretario Andrea Crippa, contestandogli il fatto che con la ricandidatura del governatore Christian Solinas le cose sarebbero andate meglio.

Il tutto mentre il vicepremier continua a muoversi su un terreno che non brilla per concretezza, difendendo a spada tratta il generale Vannacci (in odore di candidatura) dai procedimenti disciplinari e dalle inchieste, e continuando la personale crociata da ministro contro le zone 30 nei centri urbani. Il 3,7 della Lega in Sardegna, insomma, non è passato inosservato nemmeno dentro il Carroccio e la performance del partito alle imminenti elezioni abruzzesi sarà delicatissima: la posta in gioco nella piccola regione centro- meridionale è testimoniata dal fatto che, di fatto, i più importanti dossier parlamentari sono in stand- by elettorale: il voto in aula del dl elezioni, il premierato e l’autonomia (i primi due al Senato e il terzo alla Camera) slitteranno con ogni probabilità a dopo le elezioni abruzzesi.

Nel frattempo, però, le prime conseguenze dei nuovi rapporti di forza interni al centrodestra si stanno già profilando, al netto della sconfitta di Truzzu. E’ evidente che Forza Italia abbia guadagnato punti, così come è altrettanto evidente che il partito di Tajani sarà premiato sia per la propria lealtà che per una tenuta che molti non prevedevano. E poi, per Giorgia Meloni non sarà un problema dispensare maggiore collegialità nei confronti di chi le sta creando pochi problemi. I primi risultati si vedono: nella tarda serata di ieri arriva una nota congiunta (la seconda in tre giorni) del centrodestra, in cui si ufficializza che in Basilicata e Piemonte saranno ricandidati gli azzurri Bardi e Cirio, oltre alla leghista Tesei in Umbria che per la verità è quella che ha meno chances di farcela.

Qualche ora prima, intercettato in Transatlantico dai cronisti, il ministro Francesco Lollobrigida anticipava l’accordo e a chi gli chiedeva se Salvini si sarebbe messo di traverso sulle candidature aveva risposto che - almeno su questo fronte - “non gli risultava”, aggiungendo però che ”i litigi a mezzo giornale non aiutano”.

QOSHE - Se la sconfitta di Meloni è la disfatta di Salvini, ora pressato dai “nordisti” - Mauro Bazzucchi
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Se la sconfitta di Meloni è la disfatta di Salvini, ora pressato dai “nordisti”

3 1
29.02.2024

Se nelle ore immediate dopo la sconfitta del centrodestra in Sardegna i riflettori erano comprensibilmente tutti puntati sulla presidente del Consiglio, ora l’analisi più approfondita dei dati e dei flussi elettorali sta ponendo in sofferenza soprattutto Matteo Salvini. Perché è certamente vero che la vittoria di Alessandra Todde ha infranto il mito dell’invincibilità di Giorgia Meloni, soprattutto perché è avvenuta contro un candidato- fedelissimo che la premier aveva voluto a tutti i costi, ma sul leader leghista pendono dei numeri impietosi, rispetto alla performance del Carroccio nell’isola. Numeri su cui, ai piani alti di via Bellerio, si è preferito glissare, non optando nemmeno per la linea dell’ironia, usata dalla Meloni davanti ai giornalisti stranieri nel tentativo di sdrammatizzare e allentare la pressione.

Per Salvini, invece, la situazione è più complessa, perché nelle ultime ore si sta allargando la faglia all’interno del suo partito tra le due anime tradizionali, vale a dire quella nordista del “ritorno alle origini” e quella raccolta attorno al segretario che punta ad arrivare........

© Il Dubbio


Get it on Google Play