Con Ursula von der Leyen sotto osservazione per presunti abusi nell'assegnazione delle forniture delle dosi di vaccino anti-Covid e Giorgia Meloni imbarazzata proprio per i buoni rapporti maturati con la presidente della Commissione negli ultimi anni, forse Matteo Salvini ha capito che non vale la pena correre dietro al generale Vannacci.

Soprattutto se i sondaggi di cui è in possesso dicono che una sua candidatura non sposterebbe granché a favore del Carroccio e se il diretto interessato continua in un certo a modo a “tirarsela”, affermando di aver avuto più di un'offerta e stare ancora valutando quale sia la migliore. Ma il ragionamento che sembra aver convinto il leader leghista ad arrestare il pressing nei confronti del generale, noto per le proprie posizioni reazionarie su omosessuali e migranti, è quello di voler pervenire a una pax elettorale con l'ala nordista del suo partito, ancora sul piede di guerra.

L'idea sarebbe dunque quella di far entrare nel dibattito e nell'agenda leghista che porterà al voto argomenti più graditi a chi pensa che la priorità sia quella di parlare all'elettorato storico del Carroccio, e cioè piccoli imprenditori e i ceti produttivi del Settentrione, assai refrattari alla retorica conservatrice sui diritti civili e ben più permeabili ai discorsi su come contrastare il green deal targato Ue e le limitazioni che si vogliono imporre all'industria e all'agricoltura.

La strada giusta è quella tracciata con Marine Le Pen a Roma due settimane fa: incalzare la nostra presidente del Consiglio, attribuendole un'ambiguità nei confronti dei vertici comunitari e se possibile stanarla su come concretamente vorrà comportarsi quando si aprirà la partita della nuova Commissione. La mossa, nell'immediato, ha pagato perché la risposta scomposta della Meloni, che si è appellata alla necessità generica di non dividere la maggioranza, ha denotato una certa difficoltà politica, e certamente Salvini e i suoi alleati a Bruxelles non mancheranno di battere il ferro tenendolo caldo.

La prova del nove è che la premier sta valutando di portare un candidato di bandiera dell'Ecr a presidente della Commissione, proprio per allontanare le voci di inciucio con Ursula. E visto che a Bruxelles lo scenario sta diventando più favorevole alla pattuglia sovranista, a via Bellerio si è valutato che è ora il momento più opportuno di costruire la pace o almeno la tregua dentro il partito, per poi regolare i conti in modo definitivo al congresso promesso dal segretario in autunno. Un congresso - ça va sans dire - che sarà orientato in maniera decisiva dai risultati elettorali.

Intanto sono arrivati i primi segnali chiari dell'ostpolitik salviniana nei confronti della fronda interna: la presa di distanza in un talk televisivo molto seguito dalle posizioni di Vannacci sull'omosessualità (che porta con sé un raffreddamento dell'ipotesi candidatura), proprio nelle stesse ore in cui una lettera scritta dai bossiani del Comitato Nord chiedeva una presa di distanza dalla destra estrema da parte del gruppo dirigente del Carroccio. E poi, per capire come si muove Salvini, bisogna sempre dare un'occhiata alle esternazioni quotidiane nei capannelli di Montecitorio da parte del suo vice Andrea Crippa, al quale notoriamente sono delegati ragionamenti meno edulcorati di quelli del segretario (posto che questi ultimi lo siano). E Crippa, per la prima volta, dopo aver sparato a palle incatenate negli ultimi tempi un po' su tutti gli avversari del Capitano, ieri ha tirato fuori dal suo cilindro un panegirico per il Senatur, affermando che «Salvini, come me e come tutti i parlamentari della Lega, deve tutto a Umberto Bossi, perché senza di lui non ci sarebbe la Lega».

«Non è nessun mea culpa», ha voluto precisare il numero due della Lega, «è un riconoscimento a un genio della politica grazie al quale noi oggi possiamo esercitare il nostro ruolo per migliorare le sorti di questo Paese». Un riconoscimento, però, che è giunto ora e non in tempi non sospetti, e che potrebbe smussare gli angoli sia con la minoranza più rumorosa che col cosiddetto partito dei governatori. Mentre Crippa omaggiava le origini federaliste della Lega, tre piani più in alto Luca Zaia veniva audito in commissione Affari costituzionali di Montecitorio su quella che per lui e per gli altri amministratori leghisti deve rimanere la stella polare dell'attività politica del Carroccio, e cioè il conseguimento dell'Autonomia differenziata da parte delle Regioni.

QOSHE - Ora Salvini non insegue più Vannacci. Paga di più sparare su Ursula e Giorgia - Mauro Bazzucchi
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Ora Salvini non insegue più Vannacci. Paga di più sparare su Ursula e Giorgia

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03.04.2024

Con Ursula von der Leyen sotto osservazione per presunti abusi nell'assegnazione delle forniture delle dosi di vaccino anti-Covid e Giorgia Meloni imbarazzata proprio per i buoni rapporti maturati con la presidente della Commissione negli ultimi anni, forse Matteo Salvini ha capito che non vale la pena correre dietro al generale Vannacci.

Soprattutto se i sondaggi di cui è in possesso dicono che una sua candidatura non sposterebbe granché a favore del Carroccio e se il diretto interessato continua in un certo a modo a “tirarsela”, affermando di aver avuto più di un'offerta e stare ancora valutando quale sia la migliore. Ma il ragionamento che sembra aver convinto il leader leghista ad arrestare il pressing nei confronti del generale, noto per le proprie posizioni reazionarie su omosessuali e migranti, è quello di voler pervenire a una pax elettorale con l'ala nordista del suo partito, ancora sul piede di guerra.

L'idea sarebbe dunque quella di far entrare nel dibattito e nell'agenda leghista che porterà al voto argomenti più graditi a chi pensa che la priorità sia quella di parlare all'elettorato........

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