La professoressa Felia Allum dell'Università di Bath, esperta di mafie, in un recente articolo ("lavialibera") racconta la toccante vicenda di Caroline, rimasta intrappolata a soli quattordici anni in un terribile circuito di violenza, obbligata a trasportare denaro e droga mentre subiva sistematicamente abusi sessuali da parte dei membri di un gruppo criminale organizzato: attirata in questa situazione da una delle sue amiche fidate, coinvolta e partecipe del suo sfruttamento.

Le donne, osserva, rimangono ad oggi una componente non riconosciuta dei gruppi criminali organizzati transnazionali, e anche le "donne di mafia" non sono, come si può pensare, un universo a parte. Tendiamo costantemente nell'immaginario collettivo a catturare scorci di donne, qua e là, ma, nel complesso, esiste una grande lacuna di genere e scarsa consapevolezza. A tale lacuna ha voluto sopperire un nuovo rapporto dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), cercando di fornire una più aggiornata chiave di comprensione del problema e concentrandosi specificamente sulle donne che partecipano a pieno titolo alla criminalità organizzata, e non in quanto vittime, bensì, al contrario, ricoprendo ruoli attivi e di rilevanza.

Il rapporto dell' Osce sottolinea come la natura del ruolo delle donne nella criminalità organizzata sia molto più composita di quanto si possa pensare e che il divario fra ruoli maschili e femminili risulti relativamente ridotto. Al tempo stesso, però, esse trasmettono i concetti dell'illegalità alle nuove generazioni contribuendo di fatto alle carriere criminali e alla continuità culturale di clan e gruppi. Le fondamenta e le radici della criminalità organizzata sono, quindi, essenzialmente, femminili.

Sorprendentemente, si rileva anche quanto le donne siano sottorappresentate oppure del tutto assenti dai programmi statali di protezione dei testimoni. Quando lo sono, allora prevalentemente in quanto mogli o compagne di un criminale piuttosto che come partecipanti indipendenti a pieno titolo. Ad esempio, spesso, se le donne vogliono uscire dalla mafia, devono aderire al sistema di protezione del partner o seguire un sistema predisposto per gli uomini. Alle donne non vengono offerte le stesse opportunità di uscita degli uomini perché i loro bisogni specifici di donne e di madri vengono presi in considerazione di rado.

Viene da pensare all'influencer Elisa De Marco, ed al successo del suo canale YouTube dedicato al True Crime, con il proposito da lei dichiarato di “allenare l’empatia”, data la particolare attenzione qui dedicata alle tematiche femminili. Molti tra coloro che si occupano di True Crime, basti pensare nella tv italiana a Franca Leosini o ad altre creator del web, sono donne. Anche la maggior parte delle appassionate sono di genere femminile. La “consapevolezza” di Elisa True Crime nei suoi video è una sorta di corso di autodifesa. Imparare a riconoscere i campanelli d’allarme per potersi difendere al meglio: "Statisticamente - dice- è molto più comune incontrare una donna nel ruolo di vittima, ci identifichiamo in lei, riuscendo meglio ad empatizzare...".

Lo stereotipo, forse, è duro a morire. Più utile sarebbe insegnare alle donne a uscirne, da organizzazioni e stereotipi, e dare loro i mezzi concreti necessari. Anche perché sarebbe bello creare un mondo migliore, e non replicare ciò che di negativo già c'è.

Lo scorso settembre, Giorgia Soleri, nota per il suo rapporto con Damiano dei Maneskin, in una manifestazione a Roma contro i femminicidi ha dichiarato: "Siamo stanche di fare attenzione. Non vogliamo fare attenzione, non dobbiamo fare attenzione. Vogliamo uno Stato che ci tuteli e ci protegga a prescindere. Perché non mi devo ubriacare? Perché non devo tornare da sola la sera? Voglio poter fare tutto quello che fanno gli uomini". Lo Stato dovrebbe tutelare: le donne, protestare. Ubriacarsi per forza e comportarsi come gli uomini, non necessariamente. Si può fare di meglio, quello sì.

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QOSHE - Insegnare alle donne come uscirne - Simonetta Lucchi
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Insegnare alle donne come uscirne

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08.03.2024

La professoressa Felia Allum dell'Università di Bath, esperta di mafie, in un recente articolo ("lavialibera") racconta la toccante vicenda di Caroline, rimasta intrappolata a soli quattordici anni in un terribile circuito di violenza, obbligata a trasportare denaro e droga mentre subiva sistematicamente abusi sessuali da parte dei membri di un gruppo criminale organizzato: attirata in questa situazione da una delle sue amiche fidate, coinvolta e partecipe del suo sfruttamento.

Le donne, osserva, rimangono ad oggi una componente non riconosciuta dei gruppi criminali organizzati transnazionali, e anche le "donne di mafia" non sono, come si può pensare, un universo a parte. Tendiamo costantemente nell'immaginario collettivo a catturare scorci di donne, qua e là, ma, nel complesso, esiste una grande lacuna di genere e scarsa consapevolezza. A tale lacuna ha voluto sopperire un nuovo rapporto dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), cercando di fornire una più aggiornata chiave di comprensione del........

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