Che cosa può ancora dirci Edipo, l’eroe della tragedia di Sofocle, anima divisa da 2500 anni tra volontà di luce e buio di una colpa ineluttabile? Il suo accecamento è ancora un simbolo. In un XXI secolo rallentato dalla lunga agonia del ‘900, la pandemia ad esempio, è stata interrogata con il profetico romanzo di José Saramago che nel 1995 immaginava una “Cecità” contagiosa. E contro “La grande cecità” dei Sapiens di fronte alla crisi climatica si batte da vent’anni di Amitav Gosh, che ha titolato così il suo saggio più famoso. Occultamento della realtà per sotterrare colpe che non vogliamo vedere (a differenza di Edipo che le accetta). Andrea De Rosa, da direttore del Teatro Piemonte Europa, ha intitolato la stagione “Cecità”, ora da regista affronta la versione del mito scritta da Sofocle, adattata sulla base della traduzione di Fabrizio Sinisi che la riporta linguisticamente nel nostro tempo, senza togliere solennità.

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Che cosa può ancora dirci Edipo, l’eroe della tragedia di Sofocle, anima divisa da 2500 anni tra volontà di luce e buio di una colpa ineluttabile? Il suo accecamento è ancora un simbolo. In un XXI secolo rallentato dalla lunga agonia del ‘900, la pandemia ad esempio, è stata interrogata con il profetico romanzo di José Saramago che nel 1995 immaginava una “Cecità” contagiosa. E contro “La grande cecità” dei Sapiens di fronte alla crisi climatica si batte da vent’anni di Amitav Gosh, che ha titolato così il suo saggio più famoso. Occultamento della realtà per sotterrare colpe che non vogliamo vedere (a differenza di Edipo che le accetta). Andrea De Rosa, da direttore del Teatro Piemonte Europa, ha intitolato la stagione “Cecità”, ora da regista affronta la versione del mito scritta da Sofocle, adattata sulla base della traduzione di Fabrizio Sinisi che la riporta linguisticamente nel nostro tempo, senza togliere solennità.

Se rileggiamo Sofocle in chiave contemporanea, quello tra Apollo ed Edipo si proietta sull’attuale dissidio tra la necessità che va oltre l‘individuo (potremmo dirla “necessità di rispettare la natura”) e lo splendore della coscienza umana, fatta di conoscenza, libertà laica, illuminismo.

Diversamente da altre versioni di Edipo, viste anche di recente, tutte gutturali, gridate, arcaizzanti a regredite nel mito come fiaba nera, l’Edipo re di De Rosa tiene distinto il punto di lucidità, fa emergere il metodo di indagine per sollevare i misteri del velo di maya. Traviati da cattolicesimo e freudismo semplificato, pensiamo Edipo come un bambinone colpevole attaccato al corpo di mamma. Edipo è invece un eroe del progresso, certo intrappolato in quella che Adorno e Horkheimer chiamavano “la dialettica dell’illuminismo” una razionalità che diventa potere, ma non meno totalitario è il potere di un dio che ci imprigiona in un destino capriccioso.

Ed è lui significativamente (e non il coro), con in mano una spada di luce, a pronunciare la celebre battuta finale, che detta da lui sa di beffarda supremazia: “Non dite mai di una uomo che è felice finché sia scoccato il suo ultimo giorno”.

Edipo è stato però coraggioso, ha messo in discussione sé stesso, si è caricato la colpa decisa da Ananke e certo anche dalla sua violenza. Ma ben peggiori gli dèi che permettono la strage della peste, tengono in scacco la città. Se c’è allora qualcosa che Sofocle continua a dirci è quello che mi sembra ci consegni anche la lettura di De Rosa: Edipo è l’eroe tragico della lucidità, dell’intelligenza laica che non teme il divino, la sua tragedia è che non ha ancora imparato a temere soprattutto sé stesso. Neppure noi suoi eredi, 2500 anni dopo: speriamo di riuscire, prima che scocchi il nostro ultimo giorno.

QOSHE - ​L'Edipo Re di De Rosa è un eroe del progresso - Mario De Santis
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​L'Edipo Re di De Rosa è un eroe del progresso

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22.03.2024

Che cosa può ancora dirci Edipo, l’eroe della tragedia di Sofocle, anima divisa da 2500 anni tra volontà di luce e buio di una colpa ineluttabile? Il suo accecamento è ancora un simbolo. In un XXI secolo rallentato dalla lunga agonia del ‘900, la pandemia ad esempio, è stata interrogata con il profetico romanzo di José Saramago che nel 1995 immaginava una “Cecità” contagiosa. E contro “La grande cecità” dei Sapiens di fronte alla crisi climatica si batte da vent’anni di Amitav Gosh, che ha titolato così il suo saggio più famoso. Occultamento della realtà per sotterrare colpe che non vogliamo vedere (a differenza di Edipo che le accetta). Andrea De Rosa, da direttore del Teatro Piemonte Europa, ha intitolato la stagione “Cecità”, ora da regista affronta la versione del mito scritta da Sofocle, adattata sulla base della traduzione di Fabrizio Sinisi che la riporta linguisticamente nel nostro tempo, senza togliere solennità.

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