Immaginate un mondo dove l’informazione politica viene analizzata, filtrata, pesata e controllata da un sistema d’intelligenza artificiale, che poi decide unilateralmente se farla vedere o meno all’utente, al cittadino. Tutta l’informazione politica, non solo i temi sensibili come guerra o vaccini. Un processo in cui praticamente l’utilizzatore finale è marginale. Scegliere infatti di seguire gli aggiornamenti di un politico, di un giornalista o un opinionista non conta più quasi niente. E il fatto che quella persona esprima la volontà di leggerne gli spunti o ascoltarne la voce, mandando segnali chiari come per esempio un gradimento continuo, è irrilevante: decide la macchina quale informazione politica debba vedere e quale no. Il tutto senza spiegare perché, su che basi, con quali criteri.

Ecco: sembra 1984 di Orwell, invece è oggi una preoccupante realtà. A costruirla è stata Meta, la più grande multinazionale del settore. Quasi un monopolio, praticamente. Un gigante sulle cui piattaforme oggi viaggia l’informazione per centinaia di milioni di elettori europei, che di punto in bianco, dal settembre del 2022 circa (in Europa) ha deciso che le persone non erano più in grado di decidere per conto loro su cosa informarsi, arrogandosi unilateralmente il diritto di farlo per loro.

Ora, il metodo con cui ciò è avvenuto e sta avvenendo è sottile. Meta infatti non vieta, di per sé, la politica. Non è quello l’obiettivo della piattaforma che evidentemente non rimuovendola alla radice vuole continuare ad avere dati, informazioni e controllo sul settore cardine della società. Meta ha semplicemente deciso che i contenuti politici, tutti, ora seguono uno schema diverso, controllato, gestito da loro, non lasciato agli utenti, la cui libertà viene così estremamente limitata. Alcuni di quei contenuti puoi infatti vederli in Home sui vari social (la stragrande maggioranza dell’informazione viene recepita lì dagli utenti, è sporadico che un utente vada sulla pagina di una persona: seguiamo tutti migliaia di fonti e sarebbe impossibile farlo con tutte), altri no. Sulla base di? Non ci è dato saperlo. Meta non condivide nessun dettaglio sul metodo. E – forse cosa ancora più grave – Meta non spiega cosa intende per “politica”, una critica mossa per altro da molti utenti sotto l’ultimo thread dell’Ad di Instagram, Adam Mosseri, che ha lì annunciato l’implementazione di questo meccanismo su Instagram e Threads.

Meta vuole rimanere vaga. Sul metodo, sulla definizione di “politica”. Si tiene larga, larghissima con le definizioni. Volutamente, c’è da pensare. Parlando in termini generali, non dando informazioni di nessun tipo, Meta si autolegittima infatti nel controllo di tutta l’informazione. Perché teoricamente tutto è politica o può essere considerato tale. Senza dare spiegazioni a nessuno, per assurdo Meta domani potrebbe decidere che un dato tema magari scomodo o pericoloso per gli interessi aziendali deve scomparire dal dibattito pubblico. Il tutto sostenendo di star solo seguendo l’applicazione delle nuove policy.

Essere preoccupati è il minimo. Ancor di più se si realizza questo: sulle piattaforme di Meta si informano 40 milioni di italiani e centinaia di milioni di europei. Tantissime persone si fanno un’opinione sulla base di ciò che leggono, quotidianamente, sui social. Un qualcosa che ha ricadute elettorali, ovviamente. In questo quadro, una multinazionale con un potere immenso che detiene un quasi-monopolio su un’infrastruttura così critica, ci sta dicendo che da oggi (anzi, da ieri) è lei a decidere quali informazioni politiche far vedere e quali no, secretando il metodo. A decidere lei con cosa “nutrire” la mente degli elettori, con quali opinioni e informazioni.

C’è da preoccuparsi davvero. Ma tanto.

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Immaginate un mondo dove l’informazione politica viene analizzata, filtrata, pesata e controllata da un sistema d’intelligenza artificiale, che poi decide unilateralmente se farla vedere o meno all’utente, al cittadino. Tutta l’informazione politica, non solo i temi sensibili come guerra o vaccini. Un processo in cui praticamente l’utilizzatore finale è marginale. Scegliere infatti di seguire gli aggiornamenti di un politico, di un giornalista o un opinionista non conta più quasi niente. E il fatto che quella persona esprima la volontà di leggerne gli spunti o ascoltarne la voce, mandando segnali chiari come per esempio un gradimento continuo, è irrilevante: decide la macchina quale informazione politica debba vedere e quale no. Il tutto senza spiegare perché, su che basi, con quali criteri.

Ecco: sembra 1984 di Orwell, invece è oggi una preoccupante realtà. A costruirla è stata Meta, la più grande multinazionale del settore. Quasi un monopolio, praticamente. Un gigante sulle cui piattaforme oggi viaggia l’informazione per centinaia di milioni di elettori europei, che di punto in bianco, dal settembre del 2022 circa (in Europa) ha deciso che le persone non erano più in grado di decidere per conto loro su cosa informarsi, arrogandosi unilateralmente il diritto di farlo per loro.

Ora, il metodo con cui ciò è avvenuto e sta avvenendo è sottile. Meta infatti non vieta, di per sé, la politica. Non è quello l’obiettivo della piattaforma che evidentemente non rimuovendola alla radice vuole continuare ad avere dati, informazioni e controllo sul settore cardine della società. Meta ha semplicemente deciso che i contenuti politici, tutti, ora seguono uno schema diverso, controllato, gestito da loro, non lasciato agli utenti, la cui libertà viene così estremamente limitata. Alcuni di quei contenuti puoi infatti vederli in Home sui vari social (la stragrande maggioranza dell’informazione viene recepita lì dagli utenti, è sporadico che un utente vada sulla pagina di una persona: seguiamo tutti migliaia di fonti e sarebbe impossibile farlo con tutte), altri no. Sulla base di? Non ci è dato saperlo. Meta non condivide nessun dettaglio sul metodo. E – forse cosa ancora più grave – Meta non spiega cosa intende per “politica”, una critica mossa per altro da molti utenti sotto l’ultimo thread dell’Ad di Instagram, Adam Mosseri, che ha lì annunciato l’implementazione di questo meccanismo su Instagram e Threads.

Meta vuole rimanere vaga. Sul metodo, sulla definizione di “politica”. Si tiene larga, larghissima con le definizioni. Volutamente, c’è da pensare. Parlando in termini generali, non dando informazioni di nessun tipo, Meta si autolegittima infatti nel controllo di tutta l’informazione. Perché teoricamente tutto è politica o può essere considerato tale. Senza dare spiegazioni a nessuno, per assurdo Meta domani potrebbe decidere che un dato tema magari scomodo o pericoloso per gli interessi aziendali deve scomparire dal dibattito pubblico. Il tutto sostenendo di star solo seguendo l’applicazione delle nuove policy.

Essere preoccupati è il minimo. Ancor di più se si realizza questo: sulle piattaforme di Meta si informano 40 milioni di italiani e centinaia di milioni di europei. Tantissime persone si fanno un’opinione sulla base di ciò che leggono, quotidianamente, sui social. Un qualcosa che ha ricadute elettorali, ovviamente. In questo quadro, una multinazionale con un potere immenso che detiene un quasi-monopolio su un’infrastruttura così critica, ci sta dicendo che da oggi (anzi, da ieri) è lei a decidere quali informazioni politiche far vedere e quali no, secretando il metodo. A decidere lei con cosa “nutrire” la mente degli elettori, con quali opinioni e informazioni.

C’è da preoccuparsi davvero. Ma tanto.

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Meta e il controllo sulla politica, un grave vulnus per la democrazia

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14.02.2024

Immaginate un mondo dove l’informazione politica viene analizzata, filtrata, pesata e controllata da un sistema d’intelligenza artificiale, che poi decide unilateralmente se farla vedere o meno all’utente, al cittadino. Tutta l’informazione politica, non solo i temi sensibili come guerra o vaccini. Un processo in cui praticamente l’utilizzatore finale è marginale. Scegliere infatti di seguire gli aggiornamenti di un politico, di un giornalista o un opinionista non conta più quasi niente. E il fatto che quella persona esprima la volontà di leggerne gli spunti o ascoltarne la voce, mandando segnali chiari come per esempio un gradimento continuo, è irrilevante: decide la macchina quale informazione politica debba vedere e quale no. Il tutto senza spiegare perché, su che basi, con quali criteri.

Ecco: sembra 1984 di Orwell, invece è oggi una preoccupante realtà. A costruirla è stata Meta, la più grande multinazionale del settore. Quasi un monopolio, praticamente. Un gigante sulle cui piattaforme oggi viaggia l’informazione per centinaia di milioni di elettori europei, che di punto in bianco, dal settembre del 2022 circa (in Europa) ha deciso che le persone non erano più in grado di decidere per conto loro su cosa informarsi, arrogandosi unilateralmente il diritto di farlo per loro.

Ora, il metodo con cui ciò è avvenuto e sta avvenendo è sottile. Meta infatti non vieta, di per sé, la politica. Non è quello l’obiettivo della piattaforma che evidentemente non rimuovendola alla radice vuole continuare ad avere dati, informazioni e controllo sul settore cardine della società. Meta ha semplicemente deciso che i contenuti politici, tutti, ora seguono uno schema diverso, controllato, gestito da loro, non lasciato agli utenti, la cui libertà viene così estremamente limitata. Alcuni di quei contenuti puoi infatti vederli in Home sui vari social (la stragrande maggioranza dell’informazione viene recepita........

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