C’è un inverno non solo demografico ma anche civile che riguarda la situazione giovanile, colta con grande chiarezza e autorevolezza dal Capo dello Stato nel suo recentissimo discorso di fine anno: “Rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese”. Secondo l’Istat “la condizione dei giovani italiani appare piuttosto fragile, a partire da una riduzione ormai strutturale della loro consistenza demografica. Nel 2023 in Italia si contano circa 10 milioni 200mila giovani in età 18-34 anni; dal 2002 la perdita è di oltre 3 milioni di unità (-23,2%). L’Italia è il Paese Ue con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (nel 2021 17,5%; media Ue 19,6%)”. Di conseguenza cresce nel tempo la popolazione anziana.

Questo è il dato numerico, che è aggravato da quello motivazionale. Secondo l’ultimo Rapporto del Censis sulla “Situazione del paese” nella fascia giovanile si concentra più delle altre il senso di sfiducia nei confronti del futuro: il 65% dei giovani tra i 18 e 34 anni ha un forte senso di incertezza sul futuro, contro una media del 60% della popolazione, più del 61% ritiene di contare poco per la società, e l’84% pensa che l’Italia sia un paese in declino. Timorosi ed incerti sul futuro al punto che il 71% ritiene che non ci saranno lavoratori sufficienti per pagare le proprie pensioni. Con un atteggiamento molto riflessivo sul senso del lavoro, visto che nell’87% dei casi i giovani ritengono che sia un errore fare del lavoro il centro della propria vita.

E appunto sul mercato del lavoro assistiamo a un paradosso: aumentano gli occupati, raggiungendo valori mai sperimentati, ma l’effetto sull’occupazione giovanile è basso, troppo basso, al punto che il tasso di occupazione giovanile è 16 punti percentuali inferiore a quello medio (45% contro 61%) ed è diminuito di quasi sei punti dal 2008. La quota degli occupati tra 15 e 34 anni si è ridotta dal circa 30% del terzo trimestre 2008 al 22,7% del terzo 2023, mentre quella di chi ha almeno 50 anni è aumentata dal 24,2% al 40,4%. Così il 61% dei giovani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia.

Tutto questo si riflette sulla partecipazione alla vita sociale e alle istituzioni democratiche: qui si assiste a una forma di personalizzazione in cui prevale il senso dell’individualità, che non significa però individualismo utilitaristico. Aumenta la partecipazione dei giovani alle organizzazioni di volontariato e che portano avanti istanze di ordine civile e questo, secondo Ilvo Diamanti, è un aspetto più generale che riguarda la nostra società e sembra condurre a un positivo rafforzamento del sentimento democratico.

Un sentimento che però non viene incanalato negli ordinari percorsi istituzionali se il tasso di astensionismo dei giovani nelle ultime elezioni politiche del 2022 è stato quasi del 43% contro poco meno del 40% del dato medio. Non è quindi detto, come sostenuto da alcuni autorevoli studiosi, che la partecipazione civica e sociale sia per le giovani generazioni una modalità che porta anche alla crescita della partecipazione politica. Almeno di quella forma di partecipazione politica che si esprime nel tradizionale sistema elettorale.

E’ possibile che i giovani, o una loro larga maggioranza, vedano il sistema istituzionale come non in grado di rispondere alle loro attese e proprio per questo ripongono maggiore fiducia in altre forme di partecipazione. Una sorta di sostituto di un mondo istituzionale non in grado di assicurare rispetto di regole e capacità di rassicurazione che invece è chiesta in maniera crescente. Ad aumentare l’insicurezza interviene poi anche l’incremento dell’ampliamento dei divari generazionali con l’aumento della povertà assoluta tra le fasce più giovani, cresciuta nel 2022 al 12% per i giovani dai 18 ai 34 anni, contro l’11% del 2021.

Dinanzi a incertezza, precarietà e rischio la reazione è perciò di auto-impegno facendo in modo che l’autorganizzazione, o le soluzioni partecipate di natura “privata”, si pongano come una risposta prevalente alle esigenze di realizzazione e/o di tutela dal rischio.

La situazione descritta porta a minore sviluppo, già nel 2011 Mario Draghi, alla vigilia dell’assunzione del suo incarico di Presidente della Banca Centrale Europea affermava: “la bassa crescita … è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capacità innovativa, la loro conoscenza, il loro entusiasmo”. Da allora sono passati tredici anni e le cose non sono cambiate molto. Anzi!

Per ricomporre il divario tra partecipazione sociale e fiducia nelle istituzioni servono più esempi di comportamenti istituzionali concreti nell’interpretare queste inquietudini, convogliando la partecipazione civile verso una più diretta e percepibile risposta istituzionale.

Siamo all’inizio di un nuovo anno e vengono in mente le parole di Lucio Dalla: “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà e io mi sto preparando è questa la novità”. Facciamo in modo che non sia questa la profezia per il 2024, raccogliendo l’esortazione del Presidente della Repubblica, perché: “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle speranze che coltivano. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

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C’è un inverno non solo demografico ma anche civile che riguarda la situazione giovanile, colta con grande chiarezza e autorevolezza dal Capo dello Stato nel suo recentissimo discorso di fine anno: “Rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese”. Secondo l’Istat “la condizione dei giovani italiani appare piuttosto fragile, a partire da una riduzione ormai strutturale della loro consistenza demografica. Nel 2023 in Italia si contano circa 10 milioni 200mila giovani in età 18-34 anni; dal 2002 la perdita è di oltre 3 milioni di unità (-23,2%). L’Italia è il Paese Ue con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (nel 2021 17,5%; media Ue 19,6%)”. Di conseguenza cresce nel tempo la popolazione anziana.

Questo è il dato numerico, che è aggravato da quello motivazionale. Secondo l’ultimo Rapporto del Censis sulla “Situazione del paese” nella fascia giovanile si concentra più delle altre il senso di sfiducia nei confronti del futuro: il 65% dei giovani tra i 18 e 34 anni ha un forte senso di incertezza sul futuro, contro una media del 60% della popolazione, più del 61% ritiene di contare poco per la società, e l’84% pensa che l’Italia sia un paese in declino. Timorosi ed incerti sul futuro al punto che il 71% ritiene che non ci saranno lavoratori sufficienti per pagare le proprie pensioni. Con un atteggiamento molto riflessivo sul senso del lavoro, visto che nell’87% dei casi i giovani ritengono che sia un errore fare del lavoro il centro della propria vita.

E appunto sul mercato del lavoro assistiamo a un paradosso: aumentano gli occupati, raggiungendo valori mai sperimentati, ma l’effetto sull’occupazione giovanile è basso, troppo basso, al punto che il tasso di occupazione giovanile è 16 punti percentuali inferiore a quello medio (45% contro 61%) ed è diminuito di quasi sei punti dal 2008. La quota degli occupati tra 15 e 34 anni si è ridotta dal circa 30% del terzo trimestre 2008 al 22,7% del terzo 2023, mentre quella di chi ha almeno 50 anni è aumentata dal 24,2% al 40,4%. Così il 61% dei giovani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia.

Tutto questo si riflette sulla partecipazione alla vita sociale e alle istituzioni democratiche: qui si assiste a una forma di personalizzazione in cui prevale il senso dell’individualità, che non significa però individualismo utilitaristico. Aumenta la partecipazione dei giovani alle organizzazioni di volontariato e che portano avanti istanze di ordine civile e questo, secondo Ilvo Diamanti, è un aspetto più generale che riguarda la nostra società e sembra condurre a un positivo rafforzamento del sentimento democratico.

Un sentimento che però non viene incanalato negli ordinari percorsi istituzionali se il tasso di astensionismo dei giovani nelle ultime elezioni politiche del 2022 è stato quasi del 43% contro poco meno del 40% del dato medio. Non è quindi detto, come sostenuto da alcuni autorevoli studiosi, che la partecipazione civica e sociale sia per le giovani generazioni una modalità che porta anche alla crescita della partecipazione politica. Almeno di quella forma di partecipazione politica che si esprime nel tradizionale sistema elettorale.

E’ possibile che i giovani, o una loro larga maggioranza, vedano il sistema istituzionale come non in grado di rispondere alle loro attese e proprio per questo ripongono maggiore fiducia in altre forme di partecipazione. Una sorta di sostituto di un mondo istituzionale non in grado di assicurare rispetto di regole e capacità di rassicurazione che invece è chiesta in maniera crescente. Ad aumentare l’insicurezza interviene poi anche l’incremento dell’ampliamento dei divari generazionali con l’aumento della povertà assoluta tra le fasce più giovani, cresciuta nel 2022 al 12% per i giovani dai 18 ai 34 anni, contro l’11% del 2021.

Dinanzi a incertezza, precarietà e rischio la reazione è perciò di auto-impegno facendo in modo che l’autorganizzazione, o le soluzioni partecipate di natura “privata”, si pongano come una risposta prevalente alle esigenze di realizzazione e/o di tutela dal rischio.

La situazione descritta porta a minore sviluppo, già nel 2011 Mario Draghi, alla vigilia dell’assunzione del suo incarico di Presidente della Banca Centrale Europea affermava: “la bassa crescita … è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capacità innovativa, la loro conoscenza, il loro entusiasmo”. Da allora sono passati tredici anni e le cose non sono cambiate molto. Anzi!

Per ricomporre il divario tra partecipazione sociale e fiducia nelle istituzioni servono più esempi di comportamenti istituzionali concreti nell’interpretare queste inquietudini, convogliando la partecipazione civile verso una più diretta e percepibile risposta istituzionale.

Siamo all’inizio di un nuovo anno e vengono in mente le parole di Lucio Dalla: “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà e io mi sto preparando è questa la novità”. Facciamo in modo che non sia questa la profezia per il 2024, raccogliendo l’esortazione del Presidente della Repubblica, perché: “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle speranze che coltivano. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

QOSHE - Le attese dei giovani e la sfiducia nelle istituzioni - Gaetano Fausto Esposito
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Le attese dei giovani e la sfiducia nelle istituzioni

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01.01.2024

C’è un inverno non solo demografico ma anche civile che riguarda la situazione giovanile, colta con grande chiarezza e autorevolezza dal Capo dello Stato nel suo recentissimo discorso di fine anno: “Rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese”. Secondo l’Istat “la condizione dei giovani italiani appare piuttosto fragile, a partire da una riduzione ormai strutturale della loro consistenza demografica. Nel 2023 in Italia si contano circa 10 milioni 200mila giovani in età 18-34 anni; dal 2002 la perdita è di oltre 3 milioni di unità (-23,2%). L’Italia è il Paese Ue con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (nel 2021 17,5%; media Ue 19,6%)”. Di conseguenza cresce nel tempo la popolazione anziana.

Questo è il dato numerico, che è aggravato da quello motivazionale. Secondo l’ultimo Rapporto del Censis sulla “Situazione del paese” nella fascia giovanile si concentra più delle altre il senso di sfiducia nei confronti del futuro: il 65% dei giovani tra i 18 e 34 anni ha un forte senso di incertezza sul futuro, contro una media del 60% della popolazione, più del 61% ritiene di contare poco per la società, e l’84% pensa che l’Italia sia un paese in declino. Timorosi ed incerti sul futuro al punto che il 71% ritiene che non ci saranno lavoratori sufficienti per pagare le proprie pensioni. Con un atteggiamento molto riflessivo sul senso del lavoro, visto che nell’87% dei casi i giovani ritengono che sia un errore fare del lavoro il centro della propria vita.

E appunto sul mercato del lavoro assistiamo a un paradosso: aumentano gli occupati, raggiungendo valori mai sperimentati, ma l’effetto sull’occupazione giovanile è basso, troppo basso, al punto che il tasso di occupazione giovanile è 16 punti percentuali inferiore a quello medio (45% contro 61%) ed è diminuito di quasi sei punti dal 2008. La quota degli occupati tra 15 e 34 anni si è ridotta dal circa 30% del terzo trimestre 2008 al 22,7% del terzo 2023, mentre quella di chi ha almeno 50 anni è aumentata dal 24,2% al 40,4%. Così il 61% dei giovani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia.

Tutto questo si riflette sulla partecipazione alla vita sociale e alle istituzioni democratiche: qui si assiste a una forma di personalizzazione in cui prevale il senso dell’individualità, che non significa però individualismo utilitaristico. Aumenta la partecipazione dei giovani alle organizzazioni di volontariato e che portano avanti istanze di ordine civile e questo, secondo Ilvo Diamanti, è un aspetto più generale che riguarda la nostra società e sembra condurre a........

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