Come ogni anno in occasione del World Economic Forum Oxfam ha presentato il rapporto sulla disuguaglianza e come ogni anno si è constatato un peggioramento della situazione: 4,8 miliardi di persone hanno tenuto a stento il passo con l’inflazione. Per la prima volta in 25 anni la disuguaglianza a livello globale si è ampliata e qualora l’andamento del tasso di riduzione della povertà rimanesse invariato ci vorrebbero più di due secoli per ridurre la povertà globale sotto l’1%.

Il tutto mentre i miliardari percettori di rendite hanno aumentato in tre anni il valore dei loro patrimoni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali, con un tasso di crescita tre volte superiore a quello dell’inflazione. L’inflazione, appunto, è il fenomeno che ha portato nuova sperequazione avvantaggiando in particolare quanti potevano investire in attività a reddito variabile. Sempre secondo Oxfam per circa 800 milioni di lavoratori in 52 paesi, tra cui il nostro che al riguardo è in una situazione di assoluta retroguardia, i salari non hanno tenuto il passo con l’inflazione e il monte salari si è ridotto negli anni 2021-2022 di circa 1500 miliardi di dollari in termini reali, pari a quasi una mensilità per lavoratore.

Le ottime performance degli indici di borsa e la capacità delle imprese di recuperare una parte consistente degli aumenti dei costi attraverso incrementi dei prezzi, hanno contribuito a peggiorare la situazione dei percettori di redditi fissi e in particolare di quanti si trovano nelle classi più basse di reddito, ma non tutte le imprese ne hanno beneficiato, perché si sono avvantaggiate specialmente le big corporation (anche del settore tecnologico oltre che di quello farmaceutico ed energetico) che hanno conseguito profitti sorprendenti al punto che appena lo 0,001% delle aziende più grandi incamera quasi un terzo di tutti i profitti societari globali.

Ma al di là dei multi-milionari che aumentano, il problema più evidente è che inflazione e finanziarizzazione stanno mettendo in difficoltà sempre più quel ceto medio che già nel passato ha subito i contraccolpi della crisi: così alla disuguaglianza tra i più ricchi ed i più poveri si aggiunge quella di chi sta “nel mezzo”.

L’Italia è tra i primi posti tra i paesi OCSE per disuguaglianza di reddito, dopo gli Stati Uniti e la Spagna, mentre Francia e la Germania hanno livelli inferiori al nostro tra il 10-20%. E anche da noi assistiamo a nuove distinzioni all’interno della fascia (inter) media.

Per cogliere l’articolazione di chi sta nel mezzo il Forum Diseguaglianze Diversità guidato da Fabrizio Barca ha individuato due categorie che tendono a “spaccare” la cosiddetta classe media: quella dei “vulnerabili”, che si trovano nella fascia di reddito più bassa e sono anche più esposti a fenomeni esterni che in questa fase riguardano in particolare la dinamica inflattiva e il cambiamento tecnologico. Ci sono poi i cosiddetti “resilienti” che sono sempre nella fascia intermedia del reddito, ma in quella più alta, meno esposti ai cambiamenti esterni anche perché in grado di avere un patrimonio di conoscenze o anche un patrimonio tout court (ereditato) che li espone molto meno all’incertezza causata da crescita dei prezzi e dal mutamento tecnologico. Anche i “resilienti” (che probabilmente si collocano tra il 50esimo e il 70esimo percentile nella distribuzione dei redditi) hanno avuto negli ultimi trent’anni una dinamica annua dei redditi reali di poco superiore allo 0,1%, perciò entrambe le categorie hanno peggiorato le loro posizioni relative, con un maggiore aggravio per quella dei vulnerabili. Ma tutto questo riguarda la disuguaglianza reddituale.

La classe media però rischia di sperimentare un’ulteriore forma di disuguaglianza legata all’innovazione tecnologica e in particolare alla diffusione dell’intelligenza artificiale.

Come sostengono Daron Acemoglu e Simon Johnson nel loro ultimo libro “Power and Progress”, c’è il rischio che l’eccessiva diffusione di queste innovazioni possa avvantaggiare alcune élite, producendo altra disuguaglianza e addirittura minando la democrazia attraverso la creazione di ulteriori rendite monopolistiche nel big business, visto che negli Stati Uniti più di tre quarti dell’incremento della disuguaglianza è causato da una automazione sostanzialmente noncurante degli effetti sull’occupazione.

Secondo il recente rapporto dell’OCSE “Artificial intelligence and jobs” circa il 27% delle posizioni lavorative complessive sono a rischio di una automazione che include l’intelligenza artificiale e quest’ultima influenza specialmente le attività cognitive che fino ad ora sono state al riparo dalle forme di “sostituzione”. In Italia poi questa percentuale raggiunge il 30%.

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Come ogni anno in occasione del World Economic Forum Oxfam ha presentato il rapporto sulla disuguaglianza e come ogni anno si è constatato un peggioramento della situazione: 4,8 miliardi di persone hanno tenuto a stento il passo con l’inflazione. Per la prima volta in 25 anni la disuguaglianza a livello globale si è ampliata e qualora l’andamento del tasso di riduzione della povertà rimanesse invariato ci vorrebbero più di due secoli per ridurre la povertà globale sotto l’1%.

Il tutto mentre i miliardari percettori di rendite hanno aumentato in tre anni il valore dei loro patrimoni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali, con un tasso di crescita tre volte superiore a quello dell’inflazione. L’inflazione, appunto, è il fenomeno che ha portato nuova sperequazione avvantaggiando in particolare quanti potevano investire in attività a reddito variabile. Sempre secondo Oxfam per circa 800 milioni di lavoratori in 52 paesi, tra cui il nostro che al riguardo è in una situazione di assoluta retroguardia, i salari non hanno tenuto il passo con l’inflazione e il monte salari si è ridotto negli anni 2021-2022 di circa 1500 miliardi di dollari in termini reali, pari a quasi una mensilità per lavoratore.

Le ottime performance degli indici di borsa e la capacità delle imprese di recuperare una parte consistente degli aumenti dei costi attraverso incrementi dei prezzi, hanno contribuito a peggiorare la situazione dei percettori di redditi fissi e in particolare di quanti si trovano nelle classi più basse di reddito, ma non tutte le imprese ne hanno beneficiato, perché si sono avvantaggiate specialmente le big corporation (anche del settore tecnologico oltre che di quello farmaceutico ed energetico) che hanno conseguito profitti sorprendenti al punto che appena lo 0,001% delle aziende più grandi incamera quasi un terzo di tutti i profitti societari globali.

Ma al di là dei multi-milionari che aumentano, il problema più evidente è che inflazione e finanziarizzazione stanno mettendo in difficoltà sempre più quel ceto medio che già nel passato ha subito i contraccolpi della crisi: così alla disuguaglianza tra i più ricchi ed i più poveri si aggiunge quella di chi sta “nel mezzo”.

L’Italia è tra i primi posti tra i paesi OCSE per disuguaglianza di reddito, dopo gli Stati Uniti e la Spagna, mentre Francia e la Germania hanno livelli inferiori al nostro tra il 10-20%. E anche da noi assistiamo a nuove distinzioni all’interno della fascia (inter) media.

Per cogliere l’articolazione di chi sta nel mezzo il Forum Diseguaglianze Diversità guidato da Fabrizio Barca ha individuato due categorie che tendono a “spaccare” la cosiddetta classe media: quella dei “vulnerabili”, che si trovano nella fascia di reddito più bassa e sono anche più esposti a fenomeni esterni che in questa fase riguardano in particolare la dinamica inflattiva e il cambiamento tecnologico. Ci sono poi i cosiddetti “resilienti” che sono sempre nella fascia intermedia del reddito, ma in quella più alta, meno esposti ai cambiamenti esterni anche perché in grado di avere un patrimonio di conoscenze o anche un patrimonio tout court (ereditato) che li espone molto meno all’incertezza causata da crescita dei prezzi e dal mutamento tecnologico. Anche i “resilienti” (che probabilmente si collocano tra il 50esimo e il 70esimo percentile nella distribuzione dei redditi) hanno avuto negli ultimi trent’anni una dinamica annua dei redditi reali di poco superiore allo 0,1%, perciò entrambe le categorie hanno peggiorato le loro posizioni relative, con un maggiore aggravio per quella dei vulnerabili. Ma tutto questo riguarda la disuguaglianza reddituale.

La classe media però rischia di sperimentare un’ulteriore forma di disuguaglianza legata all’innovazione tecnologica e in particolare alla diffusione dell’intelligenza artificiale.

Come sostengono Daron Acemoglu e Simon Johnson nel loro ultimo libro “Power and Progress”, c’è il rischio che l’eccessiva diffusione di queste innovazioni possa avvantaggiare alcune élite, producendo altra disuguaglianza e addirittura minando la democrazia attraverso la creazione di ulteriori rendite monopolistiche nel big business, visto che negli Stati Uniti più di tre quarti dell’incremento della disuguaglianza è causato da una automazione sostanzialmente noncurante degli effetti sull’occupazione.

Secondo il recente rapporto dell’OCSE “Artificial intelligence and jobs” circa il 27% delle posizioni lavorative complessive sono a rischio di una automazione che include l’intelligenza artificiale e quest’ultima influenza specialmente le attività cognitive che fino ad ora sono state al riparo dalle forme di “sostituzione”. In Italia poi questa percentuale raggiunge il 30%.

Secondo Anthony Atkinson, uno dei più noti studiosi della disuguaglianza: “La direzione del cambiamento tecnologico deve essere una preoccupazione esplicita della politica; va incoraggiata l’innovazione in una forma che aumenti l’occupazione, mettendo in rilievo la dimensione umana della fornitura di servizi”.

Parole scritte nel 2015, che sembrano profetiche nel richiamare la responsabilità dei policy maker nell’evitare un ulteriore ampliamento delle diseguaglianze di tipo tecnologico esteso anche a quei segmenti della classe media che fino ad oggi ne sono stati sostanzialmente indenni.

QOSHE - L’intelligenza artificiale può abbattersi sul ceto medio, già provato da inflazione e finanziarizzazione - Gaetano Fausto Esposito
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L’intelligenza artificiale può abbattersi sul ceto medio, già provato da inflazione e finanziarizzazione

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22.01.2024

Come ogni anno in occasione del World Economic Forum Oxfam ha presentato il rapporto sulla disuguaglianza e come ogni anno si è constatato un peggioramento della situazione: 4,8 miliardi di persone hanno tenuto a stento il passo con l’inflazione. Per la prima volta in 25 anni la disuguaglianza a livello globale si è ampliata e qualora l’andamento del tasso di riduzione della povertà rimanesse invariato ci vorrebbero più di due secoli per ridurre la povertà globale sotto l’1%.

Il tutto mentre i miliardari percettori di rendite hanno aumentato in tre anni il valore dei loro patrimoni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali, con un tasso di crescita tre volte superiore a quello dell’inflazione. L’inflazione, appunto, è il fenomeno che ha portato nuova sperequazione avvantaggiando in particolare quanti potevano investire in attività a reddito variabile. Sempre secondo Oxfam per circa 800 milioni di lavoratori in 52 paesi, tra cui il nostro che al riguardo è in una situazione di assoluta retroguardia, i salari non hanno tenuto il passo con l’inflazione e il monte salari si è ridotto negli anni 2021-2022 di circa 1500 miliardi di dollari in termini reali, pari a quasi una mensilità per lavoratore.

Le ottime performance degli indici di borsa e la capacità delle imprese di recuperare una parte consistente degli aumenti dei costi attraverso incrementi dei prezzi, hanno contribuito a peggiorare la situazione dei percettori di redditi fissi e in particolare di quanti si trovano nelle classi più basse di reddito, ma non tutte le imprese ne hanno beneficiato, perché si sono avvantaggiate specialmente le big corporation (anche del settore tecnologico oltre che di quello farmaceutico ed energetico) che hanno conseguito profitti sorprendenti al punto che appena lo 0,001% delle aziende più grandi incamera quasi un terzo di tutti i profitti societari globali.

Ma al di là dei multi-milionari che aumentano, il problema più evidente è che inflazione e finanziarizzazione stanno mettendo in difficoltà sempre più quel ceto medio che già nel passato ha subito i contraccolpi della crisi: così alla disuguaglianza tra i più ricchi ed i più poveri si aggiunge quella di chi sta “nel mezzo”.

L’Italia è tra i primi posti tra i paesi OCSE per disuguaglianza di reddito, dopo gli Stati Uniti e la Spagna, mentre Francia e la Germania hanno livelli inferiori al nostro tra il 10-20%. E anche da noi assistiamo a nuove distinzioni all’interno della fascia (inter) media.

Per cogliere l’articolazione di chi sta nel mezzo il Forum Diseguaglianze........

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