Secondo John Maynard Keynes ”Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. […] Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. E nel suo saggio su “Le prospettive economiche per i nostri nipoti” scriveva “Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale […] Dovremmo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso […] sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa (e) un po’ ripugnante”.

In effetti un modello capitalistico è stato quello meglio in grado di diffondere benessere in maniera cospicua, ma alla fine lo sviluppo non è “sgocciolato”, come teorizzano i neo-liberisti, su ampie fasce della popolazione e oggi, secondo la Banca Mondiale, circa 700 milioni di persone nel mondo vivono in una situazione di estrema povertà con meno di 2,15 dollari al giorno, anzi negli ultimi tre anni la lotta per la povertà è entrata in un vero e proprio stallo, con la crescita della sottilissima fascia dei più ricchi.

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Secondo John Maynard Keynes ”Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. […] Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. E nel suo saggio su “Le prospettive economiche per i nostri nipoti” scriveva “Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale […] Dovremmo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso […] sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa (e) un po’ ripugnante”.

In effetti un modello capitalistico è stato quello meglio in grado di diffondere benessere in maniera cospicua, ma alla fine lo sviluppo non è “sgocciolato”, come teorizzano i neo-liberisti, su ampie fasce della popolazione e oggi, secondo la Banca Mondiale, circa 700 milioni di persone nel mondo vivono in una situazione di estrema povertà con meno di 2,15 dollari al giorno, anzi negli ultimi tre anni la lotta per la povertà è entrata in un vero e proprio stallo, con la crescita della sottilissima fascia dei più ricchi.

È almeno dalla crisi del 2008 che cresce il numero di quanti sottolineano come lo schema capitalistico tradizionale, in cui per dirla con il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, l’unico fine etico dell’impresa è di fare profitti, vada assolutamente temperato con una più vasta considerazione degli interessi di quelli che vengono definiti stakeholders e soprattutto con un migliore perseguimento degli indicatori dello sviluppo.

Così negli ultimi anni si è parlato di capitalismo sociale, coesivo, generativo, ecc. Più recentemente poi Ronald Cohen, considerato il padre degli investimenti sociali, ha parlato di “capitalismo d’impatto”, in grado di conseguire oltre all’utile economico anche l’utile sociale, attraverso la realizzazione di strumenti finanziari come ad esempio i Social Impact Bonds.

Da qui un fiorire di progetti, anche a livello europeo, che definiscono per le aziende elementi di misurazione della sostenibilità intesa in senso ampio, attraverso parametri ESG che analizzano l’impatto dell’impresa in termini ambientali (Environment), sociali (Society) e di governance (Governance).

Tutte queste iniziative si dirigono all’impresa e puntano a confutare la tesi friedmaniana del profitto come unica misura di efficienza e di efficacia. Indubbiamente l’impresa è il fulcro del sistema capitalistico, ma un regime capitalistico è una complessa costruzione sociale fatta di valori, di rapporti tra le persone e le comunità, in altri termini si alimenta non solo dai singoli comportamenti imprenditoriali volti a umanizzare il mercato, ma dalle più complessive caratteristiche di un sistema socio-economico, frutto dell’interazione di attori diversi ed istituzioni. Il tutto si basa sulla cultura di un popolo, intesa in senso ampio.

Sotto alcuni aspetti i diversi meccanismi di misurazione delle performance e d’impatto sociale potrebbero addirittura prestarsi ad una forma analoga al green washing, una sorta di “ESG washing” ossia potrebbero schermare, dietro il formale rispetto dei parametri, anche comportamenti effettivi opposti.

Il punto centrale riguarda la disuguaglianza, non solo in termini e di patrimonio e/o reddito, ma relativa al complesso di aspetti che formano e danno consistenza a una vera e piena cittadinanza e quindi solo in parte possono essere risolti sul versante delle imprese. Anzi sotto molti aspetti una impostazione che ponesse in capo al mondo imprenditoriale uno spettro eccessivamente ampio di responsabilità risulterebbe pericolosa perché significherebbe affidare a una “istituzione”, che pur sempre ha come metro di riferimento il profitto, per quanto integrato da una più ampia considerazione sociale, il perseguimento di finalità sotto alcuni aspetti improprie. Una impostazione di questo tipo è caratteristica dell’approccio anglosassone, che da un punto di vista culturale vede nell’impresa e nel mercato i paradigmi di riferimento anche per i processi sociali.

Per dirla con il titolo di un fortunato volume del sociologo Michael Sandel ci sono però cose che il denaro non può comprare anche quando è utilizzato per inserire preferenze sociali nelle scelte economiche.

Qui possiamo recuperare un approccio appartenente più specificamente alla nostra matrice culturale che è quello dell’”economia civile”, basata su di una forte spinta fiduciaria e che già nella seconda metà del 1700, con Antonio Genovesi, aveva teorizzato il primato della “felicità pubblica” come parametro di riferimento cui dovevano attenersi i reggitori di stati nello sviluppo di una “fede pubblica”.

La fiducia e il suo sviluppo sono quindi centrali per un’economia più equa e con minori disuguaglianze perché come scriveva Gaetano Filangieri (anche lui come Genovesi figlio dell’illuminismo partenopeo) “La confidenza è l’anima del commercio […] senza di essa tutte le parti che compongono il suo edificio, crollano da se medesime”.

Ecco perché un capitalismo che voglia essere “civile”, attento cioè ai diritti di cittadinanza, chiede necessariamente un ruolo centrale delle istituzioni nel costruire un processo educativo e sviluppare una effettiva coscienza civica basata su rapporti fiduciari che non possono essere suppliti da nessun processo fondato esclusivamente sulle imprese e sul mercato.

Una missione di cui le istituzioni pubbliche devono essere garanti per puntare a un capitalismo dal volto umano effettivamente attento e impegnato nella lotta alle disuguaglianze.

QOSHE - Costruiamo un capitalismo dal volto umano a partire dalla fiducia - Gaetano Fausto Esposito
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Costruiamo un capitalismo dal volto umano a partire dalla fiducia

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04.03.2024

Secondo John Maynard Keynes ”Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. […] Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. E nel suo saggio su “Le prospettive economiche per i nostri nipoti” scriveva “Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale […] Dovremmo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso […] sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa (e) un po’ ripugnante”.

In effetti un modello capitalistico è stato quello meglio in grado di diffondere benessere in maniera cospicua, ma alla fine lo sviluppo non è “sgocciolato”, come teorizzano i neo-liberisti, su ampie fasce della popolazione e oggi, secondo la Banca Mondiale, circa 700 milioni di persone nel mondo vivono in una situazione di estrema povertà con meno di 2,15 dollari al giorno, anzi negli ultimi tre anni la lotta per la povertà è entrata in un vero e proprio stallo, con la crescita della sottilissima fascia dei più ricchi.

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Secondo John Maynard Keynes ”Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. […] Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. E nel suo saggio su “Le prospettive economiche per i nostri nipoti” scriveva “Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi........

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