In un'epoca in cui il termine "influencer" è entrato di diritto nel vocabolario quotidiano, il settore della Creator Economy si sta imponendo come uno dei protagonisti del panorama economico e comunicativo globale.

In Italia e nel mondo, i creator stanno ridefinendo le dinamiche di marketing, di engagement e di narrazione aziendale, stabilendosi come figure centrali nella strategia di branding delle aziende.

Tuttavia, recenti sviluppi, come il cosiddetto "caso Ferragni" e indagini fiscali mirate, hanno acceso i riflettori su aspetti meno appariscenti ma fondamentali di questa economia emergente. A livello mondiale, i dati di Stripe rivelano che, se nel 2021 i creator hanno guadagnato complessivamente 10 miliardi di dollari, nel 2023 questa cifra è schizzata a oltre 25 miliardi di dollari, con un bacino di più di un milione di produttori di contenuti. In Italia, la figura dell'influencer si è arricchita di nuove sfaccettature e responsabilità, diventando una professione di sogno per molti giovani e vedendo un incremento del 505% in dieci anni secondo una ricerca di Adecco.

Nonostante la promessa di un bilanciamento ideale tra lavoro e passione, diventare un influencer comporta oggi più che mai una consapevolezza delle proprie responsabilità legali e fiscali. Il decreto Ferragni e le azioni intraprese dalla Guardia di Finanza evidenziano la necessità per i creator di navigare il delicato equilibrio tra visibilità e conformità normativa. Molti creator onorano già tali responsabilità, ma resta il fatto che la conoscenza e la gestione delle pratiche fiscali, come il versamento dei contributi Ex-Enpals, non sono ancora prassi universalmente diffuse.

Questa nuova ondata di attenzione mette in luce la crescente maturità del settore, che si sta adattando a standard più rigorosi, in linea con altre professioni. Una maggiore regolamentazione potrebbe tradursi in trasparenza e professionalità, avvicinando gli influencer agli standard etici del giornalismo e stabilendo un terreno comune di responsabilità e credibilità.

La Creator Economy è una moneta dal doppio volto: da una parte, è propulsore di una democrazia espressiva senza precedenti, dall'altra, può diventare l'arena di una virulenta "hater culture" che si nutre della stessa visibilità che cerca di demolire. È questo il fenomeno sociale che il "caso Ferragni" ha scoperchiato, mostrando come le parole, amplificate dai social media, possano costruire ma anche distruggere.

Le reazioni di massa, che hanno seguito le vicende che coinvolgono Chiara Ferragni, sono la testimonianza di un sistema comunicativo che vive di impulsi istantanei e di giudizi sommari, dove il confine tra critica e insulto si assottiglia pericolosamente. Da una parte, ci troviamo di fronte a un ineguagliabile potere di espressione, un terreno fertile per la creatività; dall'altra, vediamo una turbolenta arena dove ogni parola può essere strumentalizzata per scopi di distruzione anziché di costruzione.

La figura di Chiara Ferragni, in questo contesto, rappresenta un simbolo di come si possa essere, contemporaneamente, artefice e vittima del sistema che si è contribuito a creare. La sua storia segna forse il tramonto di un'epoca dell'influencer marketing così come lo conosciamo, un'epoca in cui l'immagine e la percezione pubblica erano tutto. Potrebbe essere il momento di un cambiamento, di un passaggio a un modo più consapevole e maturo di influenzare e di essere influenzati.

Questa evoluzione non è solo una lezione per il mondo degli influencer, ma anche un monito per tutti noi: la Creator Economy ci chiama a una maggiore consapevolezza delle dinamiche sociali in cui siamo immersi e della responsabilità che ogni parola pubblicata porta con sé. La domanda resta aperta: siamo pronti a intraprendere questo cammino verso una comunicazione più consapevole e meno impulsiva? La risposta sta nel tessuto della nostra società, nelle nostre scelte quotidiane, e soprattutto, nel nostro desiderio di evolvere insieme, in un mondo dove la connessione non è solo digitale, ma umana e profonda.

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In un'epoca in cui il termine "influencer" è entrato di diritto nel vocabolario quotidiano, il settore della Creator Economy si sta imponendo come uno dei protagonisti del panorama economico e comunicativo globale.

In Italia e nel mondo, i creator stanno ridefinendo le dinamiche di marketing, di engagement e di narrazione aziendale, stabilendosi come figure centrali nella strategia di branding delle aziende.

Tuttavia, recenti sviluppi, come il cosiddetto "caso Ferragni" e indagini fiscali mirate, hanno acceso i riflettori su aspetti meno appariscenti ma fondamentali di questa economia emergente. A livello mondiale, i dati di Stripe rivelano che, se nel 2021 i creator hanno guadagnato complessivamente 10 miliardi di dollari, nel 2023 questa cifra è schizzata a oltre 25 miliardi di dollari, con un bacino di più di un milione di produttori di contenuti. In Italia, la figura dell'influencer si è arricchita di nuove sfaccettature e responsabilità, diventando una professione di sogno per molti giovani e vedendo un incremento del 505% in dieci anni secondo una ricerca di Adecco.

Nonostante la promessa di un bilanciamento ideale tra lavoro e passione, diventare un influencer comporta oggi più che mai una consapevolezza delle proprie responsabilità legali e fiscali. Il decreto Ferragni e le azioni intraprese dalla Guardia di Finanza evidenziano la necessità per i creator di navigare il delicato equilibrio tra visibilità e conformità normativa. Molti creator onorano già tali responsabilità, ma resta il fatto che la conoscenza e la gestione delle pratiche fiscali, come il versamento dei contributi Ex-Enpals, non sono ancora prassi universalmente diffuse.

Questa nuova ondata di attenzione mette in luce la crescente maturità del settore, che si sta adattando a standard più rigorosi, in linea con altre professioni. Una maggiore regolamentazione potrebbe tradursi in trasparenza e professionalità, avvicinando gli influencer agli standard etici del giornalismo e stabilendo un terreno comune di responsabilità e credibilità.

La Creator Economy è una moneta dal doppio volto: da una parte, è propulsore di una democrazia espressiva senza precedenti, dall'altra, può diventare l'arena di una virulenta "hater culture" che si nutre della stessa visibilità che cerca di demolire. È questo il fenomeno sociale che il "caso Ferragni" ha scoperchiato, mostrando come le parole, amplificate dai social media, possano costruire ma anche distruggere.

Le reazioni di massa, che hanno seguito le vicende che coinvolgono Chiara Ferragni, sono la testimonianza di un sistema comunicativo che vive di impulsi istantanei e di giudizi sommari, dove il confine tra critica e insulto si assottiglia pericolosamente. Da una parte, ci troviamo di fronte a un ineguagliabile potere di espressione, un terreno fertile per la creatività; dall'altra, vediamo una turbolenta arena dove ogni parola può essere strumentalizzata per scopi di distruzione anziché di costruzione.

La figura di Chiara Ferragni, in questo contesto, rappresenta un simbolo di come si possa essere, contemporaneamente, artefice e vittima del sistema che si è contribuito a creare. La sua storia segna forse il tramonto di un'epoca dell'influencer marketing così come lo conosciamo, un'epoca in cui l'immagine e la percezione pubblica erano tutto. Potrebbe essere il momento di un cambiamento, di un passaggio a un modo più consapevole e maturo di influenzare e di essere influenzati.

Questa evoluzione non è solo una lezione per il mondo degli influencer, ma anche un monito per tutti noi: la Creator Economy ci chiama a una maggiore consapevolezza delle dinamiche sociali in cui siamo immersi e della responsabilità che ogni parola pubblicata porta con sé. La domanda resta aperta: siamo pronti a intraprendere questo cammino verso una comunicazione più consapevole e meno impulsiva? La risposta sta nel tessuto della nostra società, nelle nostre scelte quotidiane, e soprattutto, nel nostro desiderio di evolvere insieme, in un mondo dove la connessione non è solo digitale, ma umana e profonda.

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Chiara Ferragni, la sua storia segna il tramonto dell'influencer marketing così come lo conosciamo

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09.04.2024

In un'epoca in cui il termine "influencer" è entrato di diritto nel vocabolario quotidiano, il settore della Creator Economy si sta imponendo come uno dei protagonisti del panorama economico e comunicativo globale.

In Italia e nel mondo, i creator stanno ridefinendo le dinamiche di marketing, di engagement e di narrazione aziendale, stabilendosi come figure centrali nella strategia di branding delle aziende.

Tuttavia, recenti sviluppi, come il cosiddetto "caso Ferragni" e indagini fiscali mirate, hanno acceso i riflettori su aspetti meno appariscenti ma fondamentali di questa economia emergente. A livello mondiale, i dati di Stripe rivelano che, se nel 2021 i creator hanno guadagnato complessivamente 10 miliardi di dollari, nel 2023 questa cifra è schizzata a oltre 25 miliardi di dollari, con un bacino di più di un milione di produttori di contenuti. In Italia, la figura dell'influencer si è arricchita di nuove sfaccettature e responsabilità, diventando una professione di sogno per molti giovani e vedendo un incremento del 505% in dieci anni secondo una ricerca di Adecco.

Nonostante la promessa di un bilanciamento ideale tra lavoro e passione, diventare un influencer comporta oggi più che mai una consapevolezza delle proprie responsabilità legali e fiscali. Il decreto Ferragni e le azioni intraprese dalla Guardia di Finanza evidenziano la necessità per i creator di navigare il delicato equilibrio tra visibilità e conformità normativa. Molti creator onorano già tali responsabilità, ma resta il fatto che la conoscenza e la gestione delle pratiche fiscali, come il versamento dei contributi Ex-Enpals, non sono ancora prassi universalmente diffuse.

Questa nuova ondata di attenzione mette in luce la crescente maturità del settore, che si sta adattando a standard più rigorosi, in linea con altre professioni. Una maggiore regolamentazione potrebbe tradursi in trasparenza e professionalità, avvicinando gli influencer agli standard etici del giornalismo e stabilendo un terreno comune di responsabilità e credibilità.

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