“La violenza contro le donne non è solo una questione di sicurezza pubblica, ma è innanzitutto un problema culturale”: lo abbiamo urlato miliardi di volte, come un mantra, ad ogni femminicidio, con gli occhi così gonfi di rabbia che quasi non c’era spazio per le lacrime. Gli stessi occhi arrabbiati di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, rapita e ammazzata dall’ex fidanzato Filippo Turetta, che, con una esemplare consapevolezza, nonostante il dolore, ha ricordato a tutta l’Italia che i cosiddetti ‘mostri’ non sono malati ma “i sono figli sani del patriarcato”.

Un urlo straziante, quello di tutte noi, ma forse non proprio di tutte: sì perché, forse è scomodo dirlo, ma, se da un lato è vero che nella violenza di genere i primi ad essere tirati in ballo devono essere gli uomini per costruire ed apprendere una nuova cultura del rispetto, dall’altro è anche vero che il patriarcato è un fenomeno così strutturale, che in questo sistema malato c’è una parte di donne che vi offrono persino il fianco. E’ il caso della senatrice leghista, Simonetta Matone, che dal salotto di ‘Domenica In’ ha dichiarato che “i maschi disturbati non hanno mai mamme normali”.

E’ assurdo come, anche persino davanti ad una giovane donna uccisa dall’ex fidanzato, un’altra donna, che peraltro opera nelle Istituzioni e sta parlando in diretta sulla tv di Stato, trovi comunque il modo per colpevolizzare le donne, in questo caso le mamme. Questo episodio è la cartina di tornasole di quanto sia radicata la cultura patriarcale in un intero sistema: dalla politica al mondo del lavoro alla stampa, dalla famiglia alla scuola.

Allora su questo va davvero fatto un lavoro profondo e trasversale: introduciamo l'educazione all'affettività e alla parità di genere nelle scuole coinvolgendo tutta la comunità scolastica, famiglie ed esperti del settore, favoriamo la natalità ma senza togliere il reddito di libertà alle donne, senza tagliare i bonus baby sitter e caregiver, come invece ha fatto la Giunta di centro destra Rocca nel Lazio, perché il contrasto alla violenza di genere passa anche per il rispetto dell’autonomia economica della donna, per la costruzione e promozione dell’immagine di una donna che va sostenuta a tutto campo, e non relegata nella maternità o funzioni di cura, che sono, allo stesso tempo, un bene e una responsabilità collettivi.

Tra pochi giorni, il prossimo 25 novembre, sarà la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne. E’ questo il momento per fare uno scatto storico, per le tante donne che in questi giorni si rivedono in Delia, la protagonista dello straordinario film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”: “risponne”, “c’ha er difetto che risponne”.

A quante di noi si forma un groppo in gola nel sentire questa frase? È ciò che ci siamo sentite dire tutte, o prima, o poi. È nelle nostre cellule, a partire dalle nostre nonne, dalle nostre antenate. Uno stigma dal sapore matrilineare. Nel 1946, negli anni Settanta, negli anni Novanta, e ancora oggi nel 2023. Risponnemo, risponnemo: è questo il nostro "difetto". E infatti abbiamo risposto. E lo abbiamo fatto, politicamente: nel 1946, per esercitare, per la prima volta, il diritto al voto. E poi abbiamo risposto scendendo in piazza per il diritto al divorzio, all’aborto, contro scempi come il delitto d’onore e il matrimonio riparatore.

E ha risposto Donatella Colasanti, vittima del massacro del Circeo del 1975 assieme Rosaria Lopez, salvatasi fingendosi morta. Ed è grazie a Donatella Colasanti e alla sua avvocata, e a tutte le donne che scesero in piazza, che abbiamo ottenuto la sentenza con la quale la violenza carnale non fu più considerata soltanto un delitto contro la morale ma divenne un delitto contro la persona.

Credo che il massacro del Circeo, proprio per questa sua portata storica e giuridica, sia tra i femminicidi più efferati della storia, in quanto ha visto l’uomo contro la donna, i figli della “Roma bene” contro le figlie della classe povera, il centro contro le periferie. Ed è per questo che nella scorsa legislatura con la giunta Zingaretti abbiamo dedicato alle sue vittime, Donatella e Rosaria, il Premio Colasanti-Lopez per le scuole, volto a promuovere la parità di genere presso le nuove generazioni, tema al centro del dibattito proprio in queste ore, che però non è stato più portato avanti dall’attuale Giunta di centro destra Rocca. E sempre a Donatella e Rosaria abbiamo dedicato una panchina rossa, simbolo della lotta contro la violenza di genere, a cui avevamo destinato il posto d’onore: all’ingresso della sede della Giunta regionale, poi trasferita in un posto meno visibile dalla Giunta Rocca. Un pessimo segnale, visto che i gesti delle Amministrazioni hanno sempre un valore fortemente simbolico.

Una sentenza storica, dicevamo, quella che ha condannato i carnefici del Circeo per un delitto contro la persona e non solo contro la morale, che ci ricorda che i diritti si ottengono lottando ma che bisogna continuare a lottare per tutelarli. Per Donatella e Rosaria, e per Giulia. Per tutte le altre donne vittime di violenza affinché non siano morte invano, per tutte quelle che possiamo ancora salvare, per tutte quelle che verranno affinché possano nascere in una società migliore.
E ora tutte insieme: “Risponnemo!”.

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“La violenza contro le donne non è solo una questione di sicurezza pubblica, ma è innanzitutto un problema culturale”: lo abbiamo urlato miliardi di volte, come un mantra, ad ogni femminicidio, con gli occhi così gonfi di rabbia che quasi non c’era spazio per le lacrime. Gli stessi occhi arrabbiati di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, rapita e ammazzata dall’ex fidanzato Filippo Turetta, che, con una esemplare consapevolezza, nonostante il dolore, ha ricordato a tutta l’Italia che i cosiddetti ‘mostri’ non sono malati ma “i sono figli sani del patriarcato”.

Un urlo straziante, quello di tutte noi, ma forse non proprio di tutte: sì perché, forse è scomodo dirlo, ma, se da un lato è vero che nella violenza di genere i primi ad essere tirati in ballo devono essere gli uomini per costruire ed apprendere una nuova cultura del rispetto, dall’altro è anche vero che il patriarcato è un fenomeno così strutturale, che in questo sistema malato c’è una parte di donne che vi offrono persino il fianco. E’ il caso della senatrice leghista, Simonetta Matone, che dal salotto di ‘Domenica In’ ha dichiarato che “i maschi disturbati non hanno mai mamme normali”.

E’ assurdo come, anche persino davanti ad una giovane donna uccisa dall’ex fidanzato, un’altra donna, che peraltro opera nelle Istituzioni e sta parlando in diretta sulla tv di Stato, trovi comunque il modo per colpevolizzare le donne, in questo caso le mamme. Questo episodio è la cartina di tornasole di quanto sia radicata la cultura patriarcale in un intero sistema: dalla politica al mondo del lavoro alla stampa, dalla famiglia alla scuola.

Allora su questo va davvero fatto un lavoro profondo e trasversale: introduciamo l'educazione all'affettività e alla parità di genere nelle scuole coinvolgendo tutta la comunità scolastica, famiglie ed esperti del settore, favoriamo la natalità ma senza togliere il reddito di libertà alle donne, senza tagliare i bonus baby sitter e caregiver, come invece ha fatto la Giunta di centro destra Rocca nel Lazio, perché il contrasto alla violenza di genere passa anche per il rispetto dell’autonomia economica della donna, per la costruzione e promozione dell’immagine di una donna che va sostenuta a tutto campo, e non relegata nella maternità o funzioni di cura, che sono, allo stesso tempo, un bene e una responsabilità collettivi.

Tra pochi giorni, il prossimo 25 novembre, sarà la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne. E’ questo il momento per fare uno scatto storico, per le tante donne che in questi giorni si rivedono in Delia, la protagonista dello straordinario film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”: “risponne”, “c’ha er difetto che risponne”.

A quante di noi si forma un groppo in gola nel sentire questa frase? È ciò che ci siamo sentite dire tutte, o prima, o poi. È nelle nostre cellule, a partire dalle nostre nonne, dalle nostre antenate. Uno stigma dal sapore matrilineare. Nel 1946, negli anni Settanta, negli anni Novanta, e ancora oggi nel 2023. Risponnemo, risponnemo: è questo il nostro "difetto". E infatti abbiamo risposto. E lo abbiamo fatto, politicamente: nel 1946, per esercitare, per la prima volta, il diritto al voto. E poi abbiamo risposto scendendo in piazza per il diritto al divorzio, all’aborto, contro scempi come il delitto d’onore e il matrimonio riparatore.

E ha risposto Donatella Colasanti, vittima del massacro del Circeo del 1975 assieme Rosaria Lopez, salvatasi fingendosi morta. Ed è grazie a Donatella Colasanti e alla sua avvocata, e a tutte le donne che scesero in piazza, che abbiamo ottenuto la sentenza con la quale la violenza carnale non fu più considerata soltanto un delitto contro la morale ma divenne un delitto contro la persona.

Credo che il massacro del Circeo, proprio per questa sua portata storica e giuridica, sia tra i femminicidi più efferati della storia, in quanto ha visto l’uomo contro la donna, i figli della “Roma bene” contro le figlie della classe povera, il centro contro le periferie. Ed è per questo che nella scorsa legislatura con la giunta Zingaretti abbiamo dedicato alle sue vittime, Donatella e Rosaria, il Premio Colasanti-Lopez per le scuole, volto a promuovere la parità di genere presso le nuove generazioni, tema al centro del dibattito proprio in queste ore, che però non è stato più portato avanti dall’attuale Giunta di centro destra Rocca. E sempre a Donatella e Rosaria abbiamo dedicato una panchina rossa, simbolo della lotta contro la violenza di genere, a cui avevamo destinato il posto d’onore: all’ingresso della sede della Giunta regionale, poi trasferita in un posto meno visibile dalla Giunta Rocca. Un pessimo segnale, visto che i gesti delle Amministrazioni hanno sempre un valore fortemente simbolico.

Una sentenza storica, dicevamo, quella che ha condannato i carnefici del Circeo per un delitto contro la persona e non solo contro la morale, che ci ricorda che i diritti si ottengono lottando ma che bisogna continuare a lottare per tutelarli. Per Donatella e Rosaria, e per Giulia. Per tutte le altre donne vittime di violenza affinché non siano morte invano, per tutte quelle che possiamo ancora salvare, per tutte quelle che verranno affinché possano nascere in una società migliore.
E ora tutte insieme: “Risponnemo!”.

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La cultura patriarcale è anche dentro noi donne

3 1
20.11.2023

“La violenza contro le donne non è solo una questione di sicurezza pubblica, ma è innanzitutto un problema culturale”: lo abbiamo urlato miliardi di volte, come un mantra, ad ogni femminicidio, con gli occhi così gonfi di rabbia che quasi non c’era spazio per le lacrime. Gli stessi occhi arrabbiati di Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, rapita e ammazzata dall’ex fidanzato Filippo Turetta, che, con una esemplare consapevolezza, nonostante il dolore, ha ricordato a tutta l’Italia che i cosiddetti ‘mostri’ non sono malati ma “i sono figli sani del patriarcato”.

Un urlo straziante, quello di tutte noi, ma forse non proprio di tutte: sì perché, forse è scomodo dirlo, ma, se da un lato è vero che nella violenza di genere i primi ad essere tirati in ballo devono essere gli uomini per costruire ed apprendere una nuova cultura del rispetto, dall’altro è anche vero che il patriarcato è un fenomeno così strutturale, che in questo sistema malato c’è una parte di donne che vi offrono persino il fianco. E’ il caso della senatrice leghista, Simonetta Matone, che dal salotto di ‘Domenica In’ ha dichiarato che “i maschi disturbati non hanno mai mamme normali”.

E’ assurdo come, anche persino davanti ad una giovane donna uccisa dall’ex fidanzato, un’altra donna, che peraltro opera nelle Istituzioni e sta parlando in diretta sulla tv di Stato, trovi comunque il modo per colpevolizzare le donne, in questo caso le mamme. Questo episodio è la cartina di tornasole di quanto sia radicata la cultura patriarcale in un intero sistema: dalla politica al mondo del lavoro alla stampa, dalla famiglia alla scuola.

Allora su questo va davvero fatto un lavoro profondo e trasversale: introduciamo l'educazione all'affettività e alla parità di genere nelle scuole coinvolgendo tutta la comunità scolastica, famiglie ed esperti del settore, favoriamo la natalità ma senza togliere il reddito di libertà alle donne, senza tagliare i bonus baby sitter e caregiver, come invece ha fatto la Giunta di centro destra Rocca nel Lazio, perché il contrasto alla violenza di genere passa anche per il rispetto dell’autonomia economica della donna, per la costruzione e promozione dell’immagine di una donna che va sostenuta a tutto campo, e non relegata nella maternità o funzioni di cura, che sono, allo stesso tempo, un bene e una responsabilità collettivi.

Tra pochi giorni, il prossimo 25 novembre, sarà la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne. E’ questo il momento per fare uno scatto storico, per le tante donne che in questi giorni si rivedono in Delia, la protagonista dello straordinario film di Paola Cortellesi “C’è ancora........

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