(a cura di Elena Fassa, responsabile area estero Confimi Industria)

Più 17%. È magro il margine della quota export delle imprese manifatturiere di questo ultimo quarto dell’anno. E – visto il rallentamento della produzione industriale – evidente segno del fatto che il commercio internazionale è davvero fattore di benessere per il nostro Paese e condizione per la crescita dell’export delle aziende italiane.

Al netto del dato emerso da una recente indagine tra le imprese del sistema Confimi, definiamo con pochi semplici numeri la dimensione del fenomeno “esportazioni”.

La quota dell’Italia sull’export mondiale è pari al 3% (6° posizione) e al 2,8% sull’import mondiale (8° posizione); il valore dell’export italiano di beni nei primi 9 mesi dell’anno è stato pari a 466 mld€, +1% in termini monetari a fronte di un calo del -4,9% in termini di volume rispetto allo stesso periodo 2022; nello stesso periodo il nostro paese ha importato beni per 446 mld€, -10% in termini monetari e -1,8% in volumi rispetto allo stesso periodo 2022.

Tuttavia, il saldo commerciale nei primi 9 mesi del 2023 è positivo, pari a più di 20 mld€., con una variazione assoluta rispetto al periodo precedente pari a 54 mld€

Nel nostro Paese, è bene ricordarlo, gli scambi con l’estero sono appannaggio delle molte medie, piccole e addirittura microimprese.

Molti prodotti di queste imprese – prodotti “made in Italy” – sono particolarmente apprezzati e sono ambasciatori del nostro paese nel mondo. “Mondo” significa opportunità di crescita e di sviluppo per le PMI, certamente; ma commerciare nel mondo richiede anche la consapevolezza che vendere o comperare nei mercati internazionali è attività del tutto diversa dalla vendita/acquisto in Italia.

Di fatto il commercio estero è materia tecnica, soprattutto doganale, ma sempre più intrecciata con le normative dell’Unione nell’ambito del Green Deal e della Politica Economica e di Sicurezza Comune.

I nuovi scenari geopolitici, l’emergenza climatica e la lotta all’inquinamento, la necessità di ricercare nuovi mercati di sbocco o di approvvigionamento complicano non poco l’analisi e le scelte imprenditoriali in quanto lo sfondo su cui l’azienda deve muoversi è fluido, meno conosciuto, talvolta più problematico o difficilmente prevedibile anche nel breve periodo.

In concreto, nell’operatività quotidiana, ciò significa per le PMI dover misurarsi con normative di settore che prevedono restrizioni agli scambi (per esempio, CBAM – Carbon Border Adjustment Mechanism, EUDR – regolamento deforestazione, regolamento dual use), conoscere le misure di difesa commerciale (dazi antidumping e compensativi), conformare i propri prodotti agli standard dei paesi destinatari, saper sfruttare i vantaggi competitivi che possono offrire gli accordi di libero scambio, rispettare le misure restrittive introdotte dall’Unione nei confronti di determinati paesi.

Per non parlare delle più note tematiche correlate alla contrattualistica, ai pagamenti, ai trasporti internazionali.

Tutto ciò si può riassumere nel fatto che per le aziende è sempre più vitale poter disporre delle competenze specifiche che sono necessarie a gestire le sfide epocali in atto e che richiedono un cambio di prospettiva.

Per questo pensiamo a misure ad hoc nella forma di contributi, che le aziende potrebbero utilizzare per acquistare i servizi di figure professionali specialistiche in grado di accompagnarle nella fase più strategica e di pianificazione, dall’analisi della propria operatività all’implementazione delle nuove disposizioni normative passando per un programma interno di conformità.

Perché per le imprese italiane le sfida è almeno triplice: continuare a sviluppare prodotti e servizi innovativi, competitivi, ecosostenibili in un contesto in cui le regole ambientali e di sicurezza dell’Unione impattano sulla politica commerciale e sulle decisioni aziendali, diversificando i mercati di sbocco/approvvigionamento e la clientela/fornitori in modo da non dipendere da imprevisti o repentini cambi nel contesto geopolitico.

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(a cura di Elena Fassa, responsabile area estero Confimi Industria)

Più 17%. È magro il margine della quota export delle imprese manifatturiere di questo ultimo quarto dell’anno. E – visto il rallentamento della produzione industriale – evidente segno del fatto che il commercio internazionale è davvero fattore di benessere per il nostro Paese e condizione per la crescita dell’export delle aziende italiane.

Al netto del dato emerso da una recente indagine tra le imprese del sistema Confimi, definiamo con pochi semplici numeri la dimensione del fenomeno “esportazioni”.

La quota dell’Italia sull’export mondiale è pari al 3% (6° posizione) e al 2,8% sull’import mondiale (8° posizione); il valore dell’export italiano di beni nei primi 9 mesi dell’anno è stato pari a 466 mld€, +1% in termini monetari a fronte di un calo del -4,9% in termini di volume rispetto allo stesso periodo 2022; nello stesso periodo il nostro paese ha importato beni per 446 mld€, -10% in termini monetari e -1,8% in volumi rispetto allo stesso periodo 2022.

Tuttavia, il saldo commerciale nei primi 9 mesi del 2023 è positivo, pari a più di 20 mld€., con una variazione assoluta rispetto al periodo precedente pari a 54 mld€

Nel nostro Paese, è bene ricordarlo, gli scambi con l’estero sono appannaggio delle molte medie, piccole e addirittura microimprese.

Molti prodotti di queste imprese – prodotti “made in Italy” – sono particolarmente apprezzati e sono ambasciatori del nostro paese nel mondo. “Mondo” significa opportunità di crescita e di sviluppo per le PMI, certamente; ma commerciare nel mondo richiede anche la consapevolezza che vendere o comperare nei mercati internazionali è attività del tutto diversa dalla vendita/acquisto in Italia.

Di fatto il commercio estero è materia tecnica, soprattutto doganale, ma sempre più intrecciata con le normative dell’Unione nell’ambito del Green Deal e della Politica Economica e di Sicurezza Comune.

I nuovi scenari geopolitici, l’emergenza climatica e la lotta all’inquinamento, la necessità di ricercare nuovi mercati di sbocco o di approvvigionamento complicano non poco l’analisi e le scelte imprenditoriali in quanto lo sfondo su cui l’azienda deve muoversi è fluido, meno conosciuto, talvolta più problematico o difficilmente prevedibile anche nel breve periodo.

In concreto, nell’operatività quotidiana, ciò significa per le PMI dover misurarsi con normative di settore che prevedono restrizioni agli scambi (per esempio, CBAM – Carbon Border Adjustment Mechanism, EUDR – regolamento deforestazione, regolamento dual use), conoscere le misure di difesa commerciale (dazi antidumping e compensativi), conformare i propri prodotti agli standard dei paesi destinatari, saper sfruttare i vantaggi competitivi che possono offrire gli accordi di libero scambio, rispettare le misure restrittive introdotte dall’Unione nei confronti di determinati paesi.

Per non parlare delle più note tematiche correlate alla contrattualistica, ai pagamenti, ai trasporti internazionali.

Tutto ciò si può riassumere nel fatto che per le aziende è sempre più vitale poter disporre delle competenze specifiche che sono necessarie a gestire le sfide epocali in atto e che richiedono un cambio di prospettiva.

Per questo pensiamo a misure ad hoc nella forma di contributi, che le aziende potrebbero utilizzare per acquistare i servizi di figure professionali specialistiche in grado di accompagnarle nella fase più strategica e di pianificazione, dall’analisi della propria operatività all’implementazione delle nuove disposizioni normative passando per un programma interno di conformità.

Perché per le imprese italiane le sfida è almeno triplice: continuare a sviluppare prodotti e servizi innovativi, competitivi, ecosostenibili in un contesto in cui le regole ambientali e di sicurezza dell’Unione impattano sulla politica commerciale e sulle decisioni aziendali, diversificando i mercati di sbocco/approvvigionamento e la clientela/fornitori in modo da non dipendere da imprevisti o repentini cambi nel contesto geopolitico.

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Per le imprese italiane le sfida è triplice

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15.12.2023

(a cura di Elena Fassa, responsabile area estero Confimi Industria)

Più 17%. È magro il margine della quota export delle imprese manifatturiere di questo ultimo quarto dell’anno. E – visto il rallentamento della produzione industriale – evidente segno del fatto che il commercio internazionale è davvero fattore di benessere per il nostro Paese e condizione per la crescita dell’export delle aziende italiane.

Al netto del dato emerso da una recente indagine tra le imprese del sistema Confimi, definiamo con pochi semplici numeri la dimensione del fenomeno “esportazioni”.

La quota dell’Italia sull’export mondiale è pari al 3% (6° posizione) e al 2,8% sull’import mondiale (8° posizione); il valore dell’export italiano di beni nei primi 9 mesi dell’anno è stato pari a 466 mld€, 1% in termini monetari a fronte di un calo del -4,9% in termini di volume rispetto allo stesso periodo 2022; nello stesso periodo il nostro paese ha importato beni per 446 mld€, -10% in termini monetari e -1,8% in volumi rispetto allo stesso periodo 2022.

Tuttavia, il saldo commerciale nei primi 9 mesi del 2023 è positivo, pari a più di 20 mld€., con una variazione assoluta rispetto al periodo precedente pari a 54 mld€

Nel nostro Paese, è bene ricordarlo, gli scambi con l’estero sono appannaggio delle molte medie, piccole e addirittura microimprese.

Molti prodotti di queste imprese – prodotti “made in Italy” – sono particolarmente apprezzati e sono ambasciatori del nostro paese nel mondo. “Mondo” significa opportunità di crescita e di sviluppo per le PMI, certamente; ma commerciare nel mondo richiede anche la consapevolezza che vendere o comperare nei mercati internazionali è attività del tutto diversa dalla vendita/acquisto in Italia.

Di fatto il commercio estero è materia tecnica, soprattutto doganale, ma sempre più intrecciata con le normative dell’Unione nell’ambito del Green Deal e della Politica Economica e di Sicurezza Comune.

I nuovi scenari geopolitici, l’emergenza climatica e la lotta all’inquinamento, la........

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