(a cura di Paolo Agnelli)

Cara Europa,

in questi giorni che precedono il Natale, siamo in molti a interrogarci sulle nuove regole di governance finanziaria che a breve definiranno le relazioni tra i paesi dell’Unione.

L'obiettivo comune – che di per sé è a mio avviso già un traguardo - è avere il via libera definitivo entro l'anno, in modo che il ritorno nel 2024 dei vincoli fiscali, sospesi in seguito alla pandemia e congelati con la guerra in Ucraina, avvenga con un quadro normativo più chiaro e realistico, e che non immobilizzi ancora una volta l'Europa.

La posizione italiana – in questo mercanteggiare – è stata, direi, piuttosto chiara: ottenere l'esclusione degli investimenti per la transizione verde e digitale, e quelli per la Difesa, dal calcolo del debito.

Del resto, si può punire chi investe?

Non mancano in questo dibattito i nostalgici del vecchio patto, i difensori dell'austerity.

Eppure, il fallimento delle regole di austerità sembra evidente: non hanno aiutato i Paesi più indebitati, come l'Italia, a ridurre il fardello del debito pubblico, e in contemporanea hanno bloccato la crescita economica complessiva del continente. Non male, vero?

Il mio auspicio, che mi auguro di trovare esaudito sotto l’albero, è che il nuovo Patto colmi queste lacune, definisca sì prospettive di riduzione del debito pubblico e del deficit ma più realistiche che in passato, lasciando il giusto margine di manovra per portare avanti gli investimenti, tanto più a fronte della necessità di dar seguito alla doppia transizione ecologica e digitale. Non vorremo restare indietro rispetto a Usa e Cina?

A una prima lettura, e qui utilizziamo i toni di una lettera informale, il nuovo Patto di Stabilità e Crescita (nuovo nome, nuovo indirizzo) appare scritto mantenendo i piedi a terra: chi ha un debito superiore al 90%, come l'Italia, dovrà ridurlo dell'1% all'anno e non più del 5% come negli ultimi 20 anni. Più complicata la spesa annuale, il cosiddetto deficit. Al famoso limite del 3%, che rimane, da bravi risparmiatori dovremo metter via un fondo di salvaguardia con su scritto “rompere solo in caso di emergenza”. Per quanto ci riguarda, si tratta di un fondo del valore di 1,5% del Pil.

Come riempiamo questo salvadanaio? Con i soliti tagli che però, il buon senso, direbbe andrebbero fatti alla spesa pubblica. Tanto cara al Governo Monti e poi finita nel dimenticatoio.

Ma non è tutto oro quel che luccica e il nuovo Patto non è italocentrico, anzi. Le doppia arma “spread” ed effetto tassi di interesse della BCE rimangono strumenti di condizionamento europeo. Del resto, se il debito pubblico non cala adeguatamente, le flessibilità salterebbero.

Cara Europa, nell’augurarti buone feste, vorrei chiederti di esprimere un mio desiderio. L’Economia del vecchio continente è basata sulla manifattura. Micro, piccole, medie e grandi aziende che cooperano sinergiche con regole di mercato che si autodeterminano. Guarda a questa tua ricchezza, prenditene cura con regole di competitività che salvaguardino le imprese e i loro milioni di lavoratori. La finanza – sua contropartita – è un gioco affascinante ma pericoloso. È un gioco che non ci possiamo permettere.

Auguri!

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in questi giorni che precedono il Natale, siamo in molti a interrogarci sulle nuove regole di governance finanziaria che a breve definiranno le relazioni tra i paesi dell’Unione.

L'obiettivo comune – che di per sé è a mio avviso già un traguardo - è avere il via libera definitivo entro l'anno, in modo che il ritorno nel 2024 dei vincoli fiscali, sospesi in seguito alla pandemia e congelati con la guerra in Ucraina, avvenga con un quadro normativo più chiaro e realistico, e che non immobilizzi ancora una volta l'Europa.

La posizione italiana – in questo mercanteggiare – è stata, direi, piuttosto chiara: ottenere l'esclusione degli investimenti per la transizione verde e digitale, e quelli per la Difesa, dal calcolo del debito.

Del resto, si può punire chi investe?

Non mancano in questo dibattito i nostalgici del vecchio patto, i difensori dell'austerity.

Eppure, il fallimento delle regole di austerità sembra evidente: non hanno aiutato i Paesi più indebitati, come l'Italia, a ridurre il fardello del debito pubblico, e in contemporanea hanno bloccato la crescita economica complessiva del continente. Non male, vero?

Il mio auspicio, che mi auguro di trovare esaudito sotto l’albero, è che il nuovo Patto colmi queste lacune, definisca sì prospettive di riduzione del debito pubblico e del deficit ma più realistiche che in passato, lasciando il giusto margine di manovra per portare avanti gli investimenti, tanto più a fronte della necessità di dar seguito alla doppia transizione ecologica e digitale. Non vorremo restare indietro rispetto a Usa e Cina?

A una prima lettura, e qui utilizziamo i toni di una lettera informale, il nuovo Patto di Stabilità e Crescita (nuovo nome, nuovo indirizzo) appare scritto mantenendo i piedi a terra: chi ha un debito superiore al 90%, come l'Italia, dovrà ridurlo dell'1% all'anno e non più del 5% come negli ultimi 20 anni. Più complicata la spesa annuale, il cosiddetto deficit. Al famoso limite del 3%, che rimane, da bravi risparmiatori dovremo metter via un fondo di salvaguardia con su scritto “rompere solo in caso di emergenza”. Per quanto ci riguarda, si tratta di un fondo del valore di 1,5% del Pil.

Come riempiamo questo salvadanaio? Con i soliti tagli che però, il buon senso, direbbe andrebbero fatti alla spesa pubblica. Tanto cara al Governo Monti e poi finita nel dimenticatoio.

Ma non è tutto oro quel che luccica e il nuovo Patto non è italocentrico, anzi. Le doppia arma “spread” ed effetto tassi di interesse della BCE rimangono strumenti di condizionamento europeo. Del resto, se il debito pubblico non cala adeguatamente, le flessibilità salterebbero.

Cara Europa, nell’augurarti buone feste, vorrei chiederti di esprimere un mio desiderio. L’Economia del vecchio continente è basata sulla manifattura. Micro, piccole, medie e grandi aziende che cooperano sinergiche con regole di mercato che si autodeterminano. Guarda a questa tua ricchezza, prenditene cura con regole di competitività che salvaguardino le imprese e i loro milioni di lavoratori. La finanza – sua contropartita – è un gioco affascinante ma pericoloso. È un gioco che non ci possiamo permettere.

Auguri!

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L'Europa si prenda cura della sua economia

3 0
21.12.2023

(a cura di Paolo Agnelli)

Cara Europa,

in questi giorni che precedono il Natale, siamo in molti a interrogarci sulle nuove regole di governance finanziaria che a breve definiranno le relazioni tra i paesi dell’Unione.

L'obiettivo comune – che di per sé è a mio avviso già un traguardo - è avere il via libera definitivo entro l'anno, in modo che il ritorno nel 2024 dei vincoli fiscali, sospesi in seguito alla pandemia e congelati con la guerra in Ucraina, avvenga con un quadro normativo più chiaro e realistico, e che non immobilizzi ancora una volta l'Europa.

La posizione italiana – in questo mercanteggiare – è stata, direi, piuttosto chiara: ottenere l'esclusione degli investimenti per la transizione verde e digitale, e quelli per la Difesa, dal calcolo del debito.

Del resto, si può punire chi investe?

Non mancano in questo dibattito i nostalgici del vecchio patto, i difensori dell'austerity.

Eppure, il fallimento delle regole di austerità sembra evidente: non hanno aiutato i Paesi più indebitati, come l'Italia, a ridurre il fardello del debito pubblico, e in contemporanea hanno bloccato la crescita economica complessiva del continente. Non male, vero?

Il mio auspicio, che mi auguro di trovare esaudito sotto l’albero, è che il nuovo Patto colmi queste lacune, definisca sì prospettive di riduzione del debito pubblico e del deficit ma più realistiche che in passato, lasciando il giusto margine di manovra per portare avanti gli investimenti, tanto più a fronte della necessità di dar seguito alla doppia transizione ecologica e digitale. Non vorremo restare indietro rispetto a........

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