“A futura memoria” è il titolo d’un sapido libro di Leonardo Sciascia, pubblicato da Bompiani nel 1989, per raccogliere una serie di scritti “su certi delitti, su certa amministrazione della giustizia e sulla mafia”. Scritti civili, animatamente discussi, controversi, comunque solidamente ispirati al bisogno di verità e, appunto, di giustizia di fronte a tanti, e irrisolti, misteri della recente storia italiana.

Quel titolo, monito severo di responsabilità non solo per i contemporanei ma soprattutto verso le nuove generazioni, ha una precisazione, pur se messa tra parentesi: (“se la memoria ha un futuro”). Una nota di preoccupazione, una cautela ragionevole, un’ombra sulla stessa forza d’un pensiero denso di spirito civico e di senso di responsabilità, soprattutto di fronte a un’Italia che un altro grande uomo di cultura, Pier Paolo Pasolini, nei suoi “Scritti corsari” del 1975, aveva definito così: “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia”. Aggiungendo, con il consueto polemico pessimismo: “Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili”.

Rileggere oggi quelle parole intense, “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)” significa provare ad affinare gli strumenti culturali (e dunque politici) per fare fronte alle superficialità e alle contorsioni di una stagione in cui sembrano prevalere, nel gioco delle chiacchiere e delle inclinazioni di un’opinione pubblica disattenta e disorientata, il cosiddetto “presentismo”, le emozioni istantanee, le passioni bruciate in un solo momento, le opinioni volubili.

Surfare sulla superficie della cronaca, evitando ogni pensiero in profondità. Coltivare l’ossessione del “nuovismo” tanto caro ai demagoghi e ai populisti, come se la vicenda umana cominciasse da una improbabile tabula rasa e non da una faticosa e pur sempre dolorosa ricostruzione di sé stessi, delle relazioni sociali, dei rapporti economici.

Tradizione e innovazione si tengono insieme e si rafforzano reciprocamente (utilissimo, per questo, dedicare tempo alle puntate della fiction su Rai1, tratta da “La Storia” di Elsa Morante, uno dei romanzi più belli e importanti della letteratura italiana della seconda metà del Novecento).

Serve affinare gli strumenti culturali della conoscenza storica, dunque. Della consapevolezza dello spessore e della profondità dei fenomeni economici e sociali. Della coscienza di quanto la complessità della nostra stessa vita quotidiana non sia riducibile alla banalità delle semplificazioni più corrive, allo schematismo dei like e degli emoticon cari alla frenesia dei social. E’ una questione di valori. Di relazioni. Di senso profondo della nostra convivenza civile. Della nostra democrazia.

L’obiettivo di lavorare sulla memoria ha, appunto, un grande valore progettuale per il futuro. Non soltanto per la forza attuale della lezione d’un grande storico del Novecento come Fernand Braudel che ci ha insegnato come “essere stati è una condizione per essere”. Ma anche per la consapevolezza che tutti gli sviluppi dell’economia della conoscenza nell’epoca digitale e dei sorprendenti progressi dell’Intelligenza Artificiale hanno bisogno di pensiero critico, inclinazione costante alla ricerca libera, metodo scientifico e attitudine al dubbio sistematico. Coscienza storica. E curiosità intellettuale.

Sono quanto mai d’aiuto, in questo senso, ricorrenze come “il giorno della memoria”, il 27 gennaio, per riportare all’attenzione di noi tutti la tragedia della Shoah, rileggendo le ore più cupe del Novecento attraverso la rimemorazione del genocidio degli ebrei per mano della violenza nazifascista (indispensabile, riflettere, anche nelle scuole, sulle pagine di “Se questo è un uomo” di Primo Levi) e insistendo per cercare di approfondire le differenze tra quello sterminio razzista e le drammatiche stragi attuali in Medio Oriente e in Ucraina. O come “il giorno del ricordo”, il 10 febbraio, dedicato alle vittime delle foibe, per non dimenticare mai l’orrore d’una delle pagine più tremende della nostra guerra civile, per mano dei militari della Jugoslavia comunista e dei loro alleati tra i partigiani italiani.

Ecco il punto: le ricorrenze non sono formalismi ripetitivi. Ma occasioni di studio, di ricerca, di confronto. Opportunità di conoscenza e di approfondimento della storia. Spazi per il lavoro critico sulla memoria.

Memoria dei grandi drammi sociali. Dei conflitti politici e delle loro soluzioni. Dei progressi economici e dell’impegno del mondo del lavoro e dell’impresa per costruire benessere e innovazione. Dei progressi scientifici. E dei grandi movimenti culturali. Sapendo che nulla è lineare, nella storia umana, nulla è privo di fatica e di dolore.

Lavorare sulla memoria, proprio per rispondere positivamente al dubbio di Sciascia sulla possibilità che la memoria abbia un futuro, significa anche insistere sui valori della cultura. E fare tesoro, per esempio, delle preziose indicazioni contenute nel discorso pronunciato sabato scorso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia d’inaugurazione di Pesaro capitale della cultura italiana 2024: “La cultura non sopporta restrizioni o confini, pretende il rispetto delle opzioni di ogni cittadino, respinge la pretesa, sia di pubblici poteri o di grandi corporazioni, di indirizzare la sensibilità verso il monopolio di un pensiero unico”.

Sono indicazioni importanti, per la nostra convivenza civile, per la costruzione di una memoria condivisa raggiunta attraverso un libero confronto di opinioni e punti di vista diversi, per il rafforzamento di legami sociali che oggi, più che in passato, rischiano lo slabbramento per il prevalere di individualismi ed egoismi familisti, clientelari e corporativi. Ma sono anche sottolineature progettuali, per una società in cui le nuove tecnologie possono portare, se non ben governate in originali dialettiche tra libertà e responsabilità, a inediti e laceranti divari sociali, generazionali e culturali.

Mattarella insiste ricordando che, “se la cultura è sapere, creatività, emozione, passione, sentimento, ebbene è il presupposto delle nostre libertà, inclusa quella di stare insieme”. Con attenzione per “la pluralità delle culture che fanno così attraente la nostra Patria e che rendono inimitabile la nostra identità”.

Cultura come valore da società aperta, dialettica, inclusiva: “La cultura è soprattutto apertura anche fuori dai confini senza chiudersi a riccio solo sulle tradizioni di ciascuno. Quella cultura che, proprio per la natura dei processi storici che hanno caratterizzato il progressivo divenire dell’Italia, è fatta di rapporti con i Paesi vicini, con gli altri popoli, con le aspirazioni proprie della dimensione europea”.

Il Quirinale è luogo di consapevolezza storica e di attenzione alla memoria (come conferma anche la lezione di Carlo Azeglio Ciampi e di Giorgio Napolitano, presidenti della Repubblica per la preparazione e poi per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità italiana, con la valorizzazione della parola Patria, del Tricolore, dell’Inno nazionale). Di insistenza su tutto ciò che ci tiene insieme, a cominciare dalla Costituzione e sui valori delle diversità e del pluralismo culturale e sociale.

E proprio le parole del presidente Mattarella sulla cultura sono, in tempi così difficili, un buon viatico per chi continua a lavorare sulla custodia della memoria, sul rapporto critico con la storia, sul desiderio di cambiamento, trasformazione, innovazione. In sintesi, su come progettare e costruire un buon “avvenire della memoria”.

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“A futura memoria” è il titolo d’un sapido libro di Leonardo Sciascia, pubblicato da Bompiani nel 1989, per raccogliere una serie di scritti “su certi delitti, su certa amministrazione della giustizia e sulla mafia”. Scritti civili, animatamente discussi, controversi, comunque solidamente ispirati al bisogno di verità e, appunto, di giustizia di fronte a tanti, e irrisolti, misteri della recente storia italiana.

Quel titolo, monito severo di responsabilità non solo per i contemporanei ma soprattutto verso le nuove generazioni, ha una precisazione, pur se messa tra parentesi: (“se la memoria ha un futuro”). Una nota di preoccupazione, una cautela ragionevole, un’ombra sulla stessa forza d’un pensiero denso di spirito civico e di senso di responsabilità, soprattutto di fronte a un’Italia che un altro grande uomo di cultura, Pier Paolo Pasolini, nei suoi “Scritti corsari” del 1975, aveva definito così: “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia”. Aggiungendo, con il consueto polemico pessimismo: “Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili”.

Rileggere oggi quelle parole intense, “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)” significa provare ad affinare gli strumenti culturali (e dunque politici) per fare fronte alle superficialità e alle contorsioni di una stagione in cui sembrano prevalere, nel gioco delle chiacchiere e delle inclinazioni di un’opinione pubblica disattenta e disorientata, il cosiddetto “presentismo”, le emozioni istantanee, le passioni bruciate in un solo momento, le opinioni volubili.

Surfare sulla superficie della cronaca, evitando ogni pensiero in profondità. Coltivare l’ossessione del “nuovismo” tanto caro ai demagoghi e ai populisti, come se la vicenda umana cominciasse da una improbabile tabula rasa e non da una faticosa e pur sempre dolorosa ricostruzione di sé stessi, delle relazioni sociali, dei rapporti economici.

Tradizione e innovazione si tengono insieme e si rafforzano reciprocamente (utilissimo, per questo, dedicare tempo alle puntate della fiction su Rai1, tratta da “La Storia” di Elsa Morante, uno dei romanzi più belli e importanti della letteratura italiana della seconda metà del Novecento).

Serve affinare gli strumenti culturali della conoscenza storica, dunque. Della consapevolezza dello spessore e della profondità dei fenomeni economici e sociali. Della coscienza di quanto la complessità della nostra stessa vita quotidiana non sia riducibile alla banalità delle semplificazioni più corrive, allo schematismo dei like e degli emoticon cari alla frenesia dei social. E’ una questione di valori. Di relazioni. Di senso profondo della nostra convivenza civile. Della nostra democrazia.

L’obiettivo di lavorare sulla memoria ha, appunto, un grande valore progettuale per il futuro. Non soltanto per la forza attuale della lezione d’un grande storico del Novecento come Fernand Braudel che ci ha insegnato come “essere stati è una condizione per essere”. Ma anche per la consapevolezza che tutti gli sviluppi dell’economia della conoscenza nell’epoca digitale e dei sorprendenti progressi dell’Intelligenza Artificiale hanno bisogno di pensiero critico, inclinazione costante alla ricerca libera, metodo scientifico e attitudine al dubbio sistematico. Coscienza storica. E curiosità intellettuale.

Sono quanto mai d’aiuto, in questo senso, ricorrenze come “il giorno della memoria”, il 27 gennaio, per riportare all’attenzione di noi tutti la tragedia della Shoah, rileggendo le ore più cupe del Novecento attraverso la rimemorazione del genocidio degli ebrei per mano della violenza nazifascista (indispensabile, riflettere, anche nelle scuole, sulle pagine di “Se questo è un uomo” di Primo Levi) e insistendo per cercare di approfondire le differenze tra quello sterminio razzista e le drammatiche stragi attuali in Medio Oriente e in Ucraina. O come “il giorno del ricordo”, il 10 febbraio, dedicato alle vittime delle foibe, per non dimenticare mai l’orrore d’una delle pagine più tremende della nostra guerra civile, per mano dei militari della Jugoslavia comunista e dei loro alleati tra i partigiani italiani.

Ecco il punto: le ricorrenze non sono formalismi ripetitivi. Ma occasioni di studio, di ricerca, di confronto. Opportunità di conoscenza e di approfondimento della storia. Spazi per il lavoro critico sulla memoria.

Memoria dei grandi drammi sociali. Dei conflitti politici e delle loro soluzioni. Dei progressi economici e dell’impegno del mondo del lavoro e dell’impresa per costruire benessere e innovazione. Dei progressi scientifici. E dei grandi movimenti culturali. Sapendo che nulla è lineare, nella storia umana, nulla è privo di fatica e di dolore.

Lavorare sulla memoria, proprio per rispondere positivamente al dubbio di Sciascia sulla possibilità che la memoria abbia un futuro, significa anche insistere sui valori della cultura. E fare tesoro, per esempio, delle preziose indicazioni contenute nel discorso pronunciato sabato scorso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia d’inaugurazione di Pesaro capitale della cultura italiana 2024: “La cultura non sopporta restrizioni o confini, pretende il rispetto delle opzioni di ogni cittadino, respinge la pretesa, sia di pubblici poteri o di grandi corporazioni, di indirizzare la sensibilità verso il monopolio di un pensiero unico”.

Sono indicazioni importanti, per la nostra convivenza civile, per la costruzione di una memoria condivisa raggiunta attraverso un libero confronto di opinioni e punti di vista diversi, per il rafforzamento di legami sociali che oggi, più che in passato, rischiano lo slabbramento per il prevalere di individualismi ed egoismi familisti, clientelari e corporativi. Ma sono anche sottolineature progettuali, per una società in cui le nuove tecnologie possono portare, se non ben governate in originali dialettiche tra libertà e responsabilità, a inediti e laceranti divari sociali, generazionali e culturali.

Mattarella insiste ricordando che, “se la cultura è sapere, creatività, emozione, passione, sentimento, ebbene è il presupposto delle nostre libertà, inclusa quella di stare insieme”. Con attenzione per “la pluralità delle culture che fanno così attraente la nostra Patria e che rendono inimitabile la nostra identità”.

Cultura come valore da società aperta, dialettica, inclusiva: “La cultura è soprattutto apertura anche fuori dai confini senza chiudersi a riccio solo sulle tradizioni di ciascuno. Quella cultura che, proprio per la natura dei processi storici che hanno caratterizzato il progressivo divenire dell’Italia, è fatta di rapporti con i Paesi vicini, con gli altri popoli, con le aspirazioni proprie della dimensione europea”.

Il Quirinale è luogo di consapevolezza storica e di attenzione alla memoria (come conferma anche la lezione di Carlo Azeglio Ciampi e di Giorgio Napolitano, presidenti della Repubblica per la preparazione e poi per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità italiana, con la valorizzazione della parola Patria, del Tricolore, dell’Inno nazionale). Di insistenza su tutto ciò che ci tiene insieme, a cominciare dalla Costituzione e sui valori delle diversità e del pluralismo culturale e sociale.

E proprio le parole del presidente Mattarella sulla cultura sono, in tempi così difficili, un buon viatico per chi continua a lavorare sulla custodia della memoria, sul rapporto critico con la storia, sul desiderio di cambiamento, trasformazione, innovazione. In sintesi, su come progettare e costruire un buon “avvenire della memoria”.

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“A futura memoria”, per dare valore alla storia contro le passioni volubili e i superficiali like

20 8
23.01.2024

“A futura memoria” è il titolo d’un sapido libro di Leonardo Sciascia, pubblicato da Bompiani nel 1989, per raccogliere una serie di scritti “su certi delitti, su certa amministrazione della giustizia e sulla mafia”. Scritti civili, animatamente discussi, controversi, comunque solidamente ispirati al bisogno di verità e, appunto, di giustizia di fronte a tanti, e irrisolti, misteri della recente storia italiana.

Quel titolo, monito severo di responsabilità non solo per i contemporanei ma soprattutto verso le nuove generazioni, ha una precisazione, pur se messa tra parentesi: (“se la memoria ha un futuro”). Una nota di preoccupazione, una cautela ragionevole, un’ombra sulla stessa forza d’un pensiero denso di spirito civico e di senso di responsabilità, soprattutto di fronte a un’Italia che un altro grande uomo di cultura, Pier Paolo Pasolini, nei suoi “Scritti corsari” del 1975, aveva definito così: “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia”. Aggiungendo, con il consueto polemico pessimismo: “Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili”.

Rileggere oggi quelle parole intense, “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)” significa provare ad affinare gli strumenti culturali (e dunque politici) per fare fronte alle superficialità e alle contorsioni di una stagione in cui sembrano prevalere, nel gioco delle chiacchiere e delle inclinazioni di un’opinione pubblica disattenta e disorientata, il cosiddetto “presentismo”, le emozioni istantanee, le passioni bruciate in un solo momento, le opinioni volubili.

Surfare sulla superficie della cronaca, evitando ogni pensiero in profondità. Coltivare l’ossessione del “nuovismo” tanto caro ai demagoghi e ai populisti, come se la vicenda umana cominciasse da una improbabile tabula rasa e non da una faticosa e pur sempre dolorosa ricostruzione di sé stessi, delle relazioni sociali, dei rapporti economici.

Tradizione e innovazione si tengono insieme e si rafforzano reciprocamente (utilissimo, per questo, dedicare tempo alle puntate della fiction su Rai1, tratta da “La Storia” di Elsa Morante, uno dei romanzi più belli e importanti della letteratura italiana della seconda metà del Novecento).

Serve affinare gli strumenti culturali della conoscenza storica, dunque. Della consapevolezza dello spessore e della profondità dei fenomeni economici e sociali. Della coscienza di quanto la complessità della nostra stessa vita quotidiana non sia riducibile alla banalità delle semplificazioni più corrive, allo schematismo dei like e degli emoticon cari alla frenesia dei social. E’ una questione di valori. Di relazioni. Di senso profondo della nostra convivenza civile. Della nostra democrazia.

L’obiettivo di lavorare sulla memoria ha, appunto, un grande valore progettuale per il futuro. Non soltanto per la forza attuale della lezione d’un grande storico del Novecento come Fernand Braudel che ci ha insegnato come “essere stati è una condizione per essere”. Ma anche per la consapevolezza che tutti gli sviluppi dell’economia della conoscenza nell’epoca digitale e dei sorprendenti progressi dell’Intelligenza Artificiale hanno bisogno di pensiero critico, inclinazione costante alla ricerca libera, metodo scientifico e attitudine al dubbio sistematico. Coscienza storica. E curiosità intellettuale.

Sono quanto mai d’aiuto, in questo senso, ricorrenze come “il giorno della memoria”, il 27 gennaio, per riportare all’attenzione di noi tutti la tragedia della Shoah, rileggendo le ore più cupe del Novecento attraverso la rimemorazione del genocidio degli ebrei per mano della violenza nazifascista (indispensabile, riflettere, anche nelle scuole, sulle pagine di “Se questo è un uomo” di Primo Levi) e insistendo........

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