«Un giovane demente o mascalzone viene sorpreso a derubare il proprio padre e a vendere le merci che avrebbe dovuto tener d’occhio, e l’unica giustificazione che riesce a dare è di aver sentito una forte voce proveniente da nessun luogo che, parlandogli nell’orecchio, gli aveva detto di riparare le crepe e i buchi di un certo muro. Dopo di che dichiara di essere per natura indipendente da tutte le autorità come la polizia o la magistratura, e si rifugia presso un vescovo compiacente che è costretto ad ammonirlo e a dirgli che ha torto. Allora lui si spoglia in pubblico, scaraventa tutti i suoi indumenti contro il padre e proclama che suo padre non è affatto suo padre. Poi scorrazza per la città chiedendo a tutti quelli che incontra di dargli dei pezzi di muratura o dei materiali da costruzione, con evidente riferimento alla sua fissazione monomaniacale di riparare il muro. Riparare le crepe può essere anche un’attività lodevole, ma non se a farlo è qualcuno a sua volta pieno di crepe; e il restauro architettonico, come altre cose, è meglio affidarlo a costruttori cui non manchi, come si vuol dire, la terra sotto i piedi. Il disgraziato giovane diventa uno squallido straccione e praticamente striscia nelle fogne. Questo è lo spettacolo che Francesco deve aver presentato a un gran numero di vicini e amici».

Questo è il pazzo che G. K. Chesterton ci fa incontrare nelle pagine del suo San Francesco di Assisi, scritto nel 1923 (un anno dopo la sia adesione al cattolicesimo) e ripubblicato ora da Terra Santa edizioni. Ho letto questo libro per la prima volta quarantaquattro anni fa. L’ho riletto febbrilmente, e nuovamente sottolineato, in due giorni di questo febbraio 2024 davanti a una finestra di un palazzo romano da cui vedevo il Pantheon e la cupola di San Pietro, i due poli (il paganesimo e la Chiesa cattolica) tra cui Chesterton colloca la vita del “giullare di Dio”.

Una sfida gli uomini di poca fede

L’editore aggiunge un sottotitolo: «Raccontato alle donne e agli uomini di poca fede che lo hanno in simpatia», che tanti erano cento anni fa quando Chesterton ne scrisse e tanti sono oggi. Atei, agnostici e materialisti sono gli interlocutori preferiti del grande inglese che nelle sue polemiche sembra identificarsi col santo di Assisi, uno che amava tutti gli uomini, di più: li rispettava, pur non condividendone le idee e i pregiudizi. A costoro Chesterton propone un patto: siete rimasti affascinati da Francesco, seguitelo anche là dove non lo capite, anche là dove vedete contraddizioni e paradossi. Il mistero di quest’uomo (GKC lo chiama “misticismo”, “ascetismo”, “soprannaturale”) vi illuminerà sul suo essere pienamente umano e naturale perché «il misticismo ci rende più gioiosi e più umani». Detto altrimenti: non accontentatevi di essere «un ammiratore di san Francesco, ma solo per le cose che un tipo simile considera ammirevoli».

A seguirlo fin all’origine dei suoi sentimenti si scoprirà che Francesco era sostanzialmente un poeta “innamorato”. Non un filantropo, uno che amava l’umanità: «Non amava l’umanità ma amava gli uomini, così come non amava la cristianità ma amava Cristo». Perché – e oggigiorno lo vediamo bene – può non esserci la cristianità («Cristo è vissuto prima della cristianità, l’ambiente in cui si muoveva era quello dell’Impero pagano») ma questo non fa venir meno la presenza di Cristo.

Un debito infinito

Ora potrei elencare una trentina di gemme per cui vale la pena di leggere questo libro, e sarebbe una cosa molto poetica. Come dice Chesterton in un altro libro, la cosa più poetica del Robinson Crusoe di Daniel Defoe «è un inventario», l’elenco delle cose che il naufrago ha strappato al mare. E la vita stessa di Francesco è la poesia dell’enumerazione entusiasta di quello che vede, di quello e di quelli che incontra nel suo vagabondare sino alla visione sulla Verna in cui ricevette le stigmate e dopo la quale iniziò a diventare cieco. Penso però che mi basterà una sola citazione che da sola fa chiarezza del concetto di “visione”, così astratto e immaginario nel nostro linguaggio, e invece concreto al limite del materialismo nel Chesterton che cerca di immedesimarsi in Francesco.

La domanda è questa: che cosa vede un santo?

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Ecco la risposta: «La transizione da uomo buono a santo è una sorta di rivoluzione: cioè, colui per il quale tutto illustra e illumina Dio, diventa colui per il quale Dio illustra e illumina ogni cosa. […] Da questo abisso nichilistico sorge quella forma letteraria chiamata Lode, che mai nessuno sarà in grado di capire finché la identifica con il culto della natura o con l’ottimismo panteistico. [Francesco] elogia il creato nel senso dell’atto della creazione. La sua è una Lode del passaggio dal non-essere all’essere. […] Non solo vede tutto, ma vede il nulla da cui tutto ha avuto origine». «Si tratta della scoperta di un debito infinito», del paradosso di un uomo che esulta di gioia «scoprendo di essere in debito» e avendo piena coscienza che non potrà mai estinguerlo.

Un cortigiano, cento re

È questo il segreto della sua povertà, della sua libertà e della “cortesia” (l’amor cortese del trovatore che era in lui) con cui trattava gli uomini, gli animali e gli elementi. La sua semplicità conservava una forma di magnificenza, un modo di fare degno di una corte. «Ma mentre in una corte c’è un solo re e cento cortigiani, in questo racconto c’è un unico cortigiano che si muove tra cento re». Solo un uomo così può dire a un giovane fortemente problematico: «Vieni pure da me, con fiducia, ogni volta che lo vorrai e impara la fede dall’amicizia».

P.S. Francesco è stato, in forma corporale, l’anima della civiltà medievale, che qualcuno, pur vivendo ancora oggi dei suoi riflessi di luce, si ostina a chiamare secoli oscuri.

Gilbert K. Chesterton
San Francesco d’Assisi
Terra Santa edizioni, 2023
208 pagine
15 euro

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Il san Francesco “innamorato” raccontato da Chesterton

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16.04.2024

«Un giovane demente o mascalzone viene sorpreso a derubare il proprio padre e a vendere le merci che avrebbe dovuto tener d’occhio, e l’unica giustificazione che riesce a dare è di aver sentito una forte voce proveniente da nessun luogo che, parlandogli nell’orecchio, gli aveva detto di riparare le crepe e i buchi di un certo muro. Dopo di che dichiara di essere per natura indipendente da tutte le autorità come la polizia o la magistratura, e si rifugia presso un vescovo compiacente che è costretto ad ammonirlo e a dirgli che ha torto. Allora lui si spoglia in pubblico, scaraventa tutti i suoi indumenti contro il padre e proclama che suo padre non è affatto suo padre. Poi scorrazza per la città chiedendo a tutti quelli che incontra di dargli dei pezzi di muratura o dei materiali da costruzione, con evidente riferimento alla sua fissazione monomaniacale di riparare il muro. Riparare le crepe può essere anche un’attività lodevole, ma non se a farlo è qualcuno a sua volta pieno di crepe; e il restauro architettonico, come altre cose, è meglio affidarlo a costruttori cui non manchi, come si vuol dire, la terra sotto i piedi. Il disgraziato giovane diventa uno squallido straccione e praticamente striscia nelle fogne. Questo è lo spettacolo che Francesco deve aver presentato a un gran numero di vicini e amici».

Questo è il pazzo che G. K. Chesterton ci fa incontrare nelle pagine del suo San Francesco di Assisi, scritto nel 1923 (un anno dopo la sia adesione al cattolicesimo) e ripubblicato ora da Terra Santa edizioni. Ho letto questo........

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