Scorgere segnali che indicano la caduta del senso dello Stato o, che dir si voglia, della morale pubblica, della cosiddetta etica della responsabilità, non è poi tanto difficile. Bisogna solo disporsi a guardare in una certa prospettiva, leggendo nei comportamenti pubblici e privati per identificare le motivazioni da cui sono dettati. È ormai un annetto che si contendono il dibattito pubblico tre importanti temi istituzionali: il “terzo mandato” degli amministratori locali, il premierato ed il regionalismo differenziato. Si tratta in tutti questi casi di questioni di struttura, attengono cioè all’ossatura dello Stato, al modo di distribuire il potere tra le istituzioni fondanti ed al modo di costruirlo nel tempo. Sono temi che dovrebbero essere trattati da statisti. Statista è parola abusata, spesso senza nemmeno sentirne a pieno la portata. Statista è quel politico che, prescindendo da obiettivi personali, di bottega o anche di partito, guarda agl’interessi della comunità, mirando a preservarne gli interessi e curando che le istituzioni intorno alle quali essa si riconosce e grazie alle quali può procedere relativamente sicura ed avvertita dei suoi fini accomunanti siano al meglio preservate, aggiornate, vitalizzate. E questo per una semplice ragione: se le istituzioni hanno un senso proficuo – dato che, non l’avessero, sarebbero solo un pernicioso costo ed un impaccio per il naturale dipanarsi dei rapporti umani – quello è d’assicurare una accettabile stabilità nelle relazioni sociali, garantendo relativa prevedibilità del futuro e consolidando orizzonti di comuni aspettative, in assenza delle quali la vita comune è impossibile. Sicché, quando si ‘ “pon mano ad esse”– alle istituzioni – non ad altro bisognerebbe indirizzarsi, che a costruirle in vista dei compiti cui saranno chiamate, tentando nei limiti del possibile di antivedere le conseguenze delle regole che si dettano, sulla base delle esperienze già registrate, nel proprio Paese o in casa d’altri. Ora, il quadro del confronto politico intorno a temi decisivi come quelli sopra indicati è desolante. Terzo mandato. A leggere le pagine dei giornali – che però sono ben informate, dato che l’attuale classe politica è sin troppo più discutidora che realizzatrice – il Salvini vorrebbe il terzo mandato, non di certo perché ne valuti i benefici istituzionali (nel qual caso si dovrebbe disputare della competenza accumulata, del rispetto della volontà degli elettori, della conoscenza dei contesti) superiori agli inconvenienti (la personalizzazione del potere); tutt’altro, perché esigenze di conservazione, del suo di potere, lo spingono a favorire la conferma di Luca Zaia alla presidenza veneta, in modo che questi non abbia a fantasticare di Segreteria della Lega. A quel che si sente, Giorgia Meloni, utilizzando gli stessi temi ma specularmente, cercherebbe di mettere in difficoltà l’alleato, riservandosi all’ultimo momento di salvare il terzo mandato per rendersi amico il Presidente della Serenissima. Per contro, a sinistra, sul terzo mandato pesa in modo determinante il duello tra Elly Schelein e Vincenzo De Luca, il da lei non amato Governatore della Campania e questo sarebbe alla base del voto bipartisan ostile al triplo mandato. Per non dire del regionalismo differenziato e del premierato forte: anche qui un logorante gioco di astuzie, che prescindendo dalla qualità in sé delle riforme – potrebbero essere ciascuna ottima o meno, compatibili o meno tra loro, poco conta – ruota esclusivamente tra opportunismi elettorali e reciproche concessioni fra le diverse anime della maggioranza di governo. Mentre da parte dell’opposizione, il contrasto ad entrambe le riforme – mi riferisco in modo particolare al premierato – avviene sulla base di posizioni ideologicamente pregiudiziali: in altri termini, perché la proposta viene dalla destra di governo. Queste notazioni descrivono la condizione propria d’uno Stato in dissoluzione, in dissoluzione quale Stato: dove l’interesse delle fazioni che al suo interno si muovono sempre più scompostamente costituisce – unico – il paradigma intorno al quale ruotano le decisioni. Sia chiaro: nessuno pensa, con l’ingenuità d’una claustrale, che il tornaconto di partito non sia uno dei motori della politica e della Storia. Il problema è piuttosto che intorno a temi che servono a dar base alla struttura dello Stato – che condizionerà la vita dei cittadini per il futuro, creando conseguenze difficilmente reversibili – l’interesse di parte dovrebbe farsi da parte ed il confronto dovrebbe aversi unicamente sulle alle ragioni generali che consigliano o sconsigliano una determinata soluzione istituzionale in ragione delle conseguenze che essa potrà indurre. In ciò il compito dei leader. Ed invece no. Con conseguenze disastrose. Non solo per quelle che direttamente potranno venire da riforme volute o non volute in ragione d’interessi opportunistici e del tutto incuranti delle istanze collettive; ma anche e soprattutto per questa evidentissima caduta morale delle élites del Paese, tutte, quasi nessuno discriminato, che offrono un esempio d’esecrabile miopia, d’accecata irragionevolezza, di particolarismi devastanti, che ovviamente non mancano di riprodursi nella catena sociale, diramandosi ad ogni livello dell’azione individuale, là dove anche quest’ultima dovrebbe essere avvertita degli obblighi nascenti dal patto sociale. E quando il crollo dello spessore etico s’infiltra nel tessuto del Paese, non c’è più prospettiva, perché non esiste possibilità per gendarme d’arrivare ad ogni cittadino. A non voler riconoscere che lo stesso gendarme è un cittadino allevato in un simile ambiente.

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Quando l’interesse di parte dovrebbe farsi da parte

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26.02.2024

Scorgere segnali che indicano la caduta del senso dello Stato o, che dir si voglia, della morale pubblica, della cosiddetta etica della responsabilità, non è poi tanto difficile. Bisogna solo disporsi a guardare in una certa prospettiva, leggendo nei comportamenti pubblici e privati per identificare le motivazioni da cui sono dettati. È ormai un annetto che si contendono il dibattito pubblico tre importanti temi istituzionali: il “terzo mandato” degli amministratori locali, il premierato ed il regionalismo differenziato. Si tratta in tutti questi casi di questioni di struttura, attengono cioè all’ossatura dello Stato, al modo di distribuire il potere tra le istituzioni fondanti ed al modo di costruirlo nel tempo. Sono temi che dovrebbero essere trattati da statisti. Statista è parola abusata, spesso senza nemmeno sentirne a pieno la portata. Statista è quel politico che, prescindendo da obiettivi personali, di bottega o anche di partito, guarda agl’interessi della comunità, mirando a preservarne gli interessi e curando che le istituzioni intorno alle quali essa si riconosce e grazie alle quali può procedere relativamente sicura ed avvertita dei suoi fini accomunanti siano al meglio preservate, aggiornate, vitalizzate. E questo per una semplice ragione: se le istituzioni hanno un senso proficuo – dato che, non l’avessero, sarebbero solo un pernicioso costo ed un impaccio per il naturale dipanarsi dei........

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