Mentre la nostra usurata e retorica politica non ha mancato di celebrare il rito divisivo del 25 aprile, con lo stucchevole richiamo ai mancati autodafé degli esponenti della destra di Governo, un tema ben più grave ed attuale – e ben più significativamente solido indizio circa lo stato effettivo della democrazia patriota – è stato celermente messo da parte. Mi riferisco allo scandalo della condizione carceraria in Italia. Non v’è dubbio che le istituzioni d’internamento, di sequestro, concentrazionarie, o come altro dir si voglia, possano dar luogo a gravi deviazioni. Ne è testimonianza una lunga storia di carceri, manicomi, comunità ‘spirituali’, chetutte, sia pur in diversa misura, dimostrano a quali forme di violenze e sopraffazioni possa giungersi in quegli ambienti reclusori, che favoriscono azioni non viste, fomentano la sopraffazione, offrono spazio ai peggiori istinti dell’uomo nei confronti dell’altro uomo. Mentre mostriamo commendevole sensibilità nei riguardi d’una connazionale, Ilaria Salis, rinchiusa nelle carceri ungheresi con l’accusa d’essersi fatta randellatrice di nazisti, con straordinaria volubilità distogliamo l’attenzione dalla condizione incivile delle nostre carceri, quelle sì davvero degne d’una dittatura sudamericana. Il fenomeno del quale s’è reso da ultimo solenne documento quanto emerge dai filmati e dalle testimonianze delle abituali condotte di numerosi agenti penitenziari del carcere minorile di Torino – per ironia intitolato a Cesare Beccaria – non è nient’altro che una tra le infinite sequele di violenze che si consumano stabilmente all’interno dei reclusori italiani. E non mi riferisco soltanto a fatti straordinariamente scandalosi che si registrarono nell’aprile del 2020 a Santa Maria Capua Vetere (in altri penitenziari nazionali) e che vedono sotto processo oltre cento tra agenti funzionari e dirigenti dell’amministrazione penitenziaria: insomma tutta una catena di comando, dalla testa ai piedi, tra azioni dirette ed omertosi insabbiamenti; mi riferisco piuttosto alla quotidianità degli episodi di soprusi diffusi che vanno da Voghera a Milano, da Parma a Foggia, a san Gimignano a Poggioreale e via dicendo. Violenze tra detenuti, violenze nei confronti di detenuti in forme che talora giungono ad assumere la forma di spedizioni punitive, violenze nei confronti di agenti. Insomma, una condizione generalizzata d’illegalità che molto di frequente raggiunge picchi che, come quelli del carcere minorile torinese – sì, minorile – dovrebbero definirsi intollerabili e che invece non solo sono tollerati, ma sostenuti o quanto meno ampiamente coperti dalle gerarchie. Sono queste cose di particolare gravità, e di particolare gravità in uno Stato che si definirebbe una democrazia fondata, come tutte le democrazie, sul culto del diritto. Per una democrazia che si rispetti, il carcere è già da sé un problema e di esso dovrebbe farsi l’uso al più possibile contenuto. Le democrazie, per definizione, sono pluraliste, inclusive, hanno per ferma base il rispetto della libertà. Segregare in carcere soggetti per la gran parte generalmente deboli per reati spessissimo di poco momento costituisce di per sé un fallimento del programma d’integrazione e recupero delle deviazioni che ci sarebbe molti modi per attuare. Quando poi l’atto dell’incarceramento, che dovrebbe essere l’estrema manifestazione dell’affermazione della giustizia e della legge dinanzi all’assenza di serie alternative, colloca il detenuto in un ambiente che è il tempio dell’illegalità, della violenza bruta e talora addirittura cieca, in un mondo dove l’unica regola a vigere con efficacia è quella del più forte; e lo colloca in condizioni di vita insostenibili, in una realtà di sudiciume e sovraffollamento che conduce ad un numero esorbitante di suicidi (già oltre trenta quest’anno), anche tra gli agenti della polizia penitenziaria, quando tutto questo accade, c’è da chiedersi in qual sorta di democrazia siamo, per non dire dello Stato di diritto. Per la violenza e l’illegalità trionfante nelle carceri non c’è giustificazione che tenga, quando si passi dall’episodio isolato, sempre possibile, alla sistematica negazione del diritto e della tutela del detenuto. Quello carcerario è ambiente interamente creato e gestito dallo Stato: è ambiente chiuso, vigilato, sottomesso a rigidi regolamenti. Le violazioni della legge in esso dovrebbero essere l’eccezione, a rigore molto meno frequenti di quelle che si verificano nel libero spazio sociale. Con gli strumenti a disposizione per vigilare quei ristretti ambiti, la violenza sistematica, le autentiche sevizie alle quali sono sottoposti i detenuti non sono possibili senza una vasta ed ampia consapevolezza o, almeno, senza una piena disattivazione di tutti quei meccanismi di controllo non difficili da realizzare nel chiuso delle mura di un istituto di pena. Se, al contrario, con ciclicità ricorrente s’apprende dell’esistenza di sistemi ordinari di gravissime violenze che accomunano come poche altre cose il Paese dal Nord al Sud, allora è evidente che esiste da noi un problema molto grave per la democrazia: il problema della presenza di ampie aree di esenzione dalla legge dove agli uomini dello Stato è consentito ogni arbitrio senza ci siano adeguate reazioni da parte dei pubblici poteri: i quali, nella migliore delle ipotesi, semplicemente si disinteressano. Se siamo costretti ad assistere alla presenza di situazioni tali, per le quali l’evasione dovrebbe godere dell’esimente della legittima difesa e rispetto a tutto ciò non sono adottate, da decenni ormai, adeguate misure di contrasto, probabilmente abbiamo un indice di quanto da noi si sproloqui vanamente di democrazia, senza che autentica sensibilità per i suoi valori risieda in chi ad essi dovrebbe dare effettività e concretezza.

QOSHE - Lo scandalo della violenza all’interno delle carceri - Orazio Abbamonte
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Lo scandalo della violenza all’interno delle carceri

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29.04.2024

Mentre la nostra usurata e retorica politica non ha mancato di celebrare il rito divisivo del 25 aprile, con lo stucchevole richiamo ai mancati autodafé degli esponenti della destra di Governo, un tema ben più grave ed attuale – e ben più significativamente solido indizio circa lo stato effettivo della democrazia patriota – è stato celermente messo da parte. Mi riferisco allo scandalo della condizione carceraria in Italia. Non v’è dubbio che le istituzioni d’internamento, di sequestro, concentrazionarie, o come altro dir si voglia, possano dar luogo a gravi deviazioni. Ne è testimonianza una lunga storia di carceri, manicomi, comunità ‘spirituali’, chetutte, sia pur in diversa misura, dimostrano a quali forme di violenze e sopraffazioni possa giungersi in quegli ambienti reclusori, che favoriscono azioni non viste, fomentano la sopraffazione, offrono spazio ai peggiori istinti dell’uomo nei confronti dell’altro uomo. Mentre mostriamo commendevole sensibilità nei riguardi d’una connazionale, Ilaria Salis, rinchiusa nelle carceri ungheresi con l’accusa d’essersi fatta randellatrice di nazisti, con straordinaria volubilità distogliamo l’attenzione dalla condizione incivile delle nostre carceri, quelle sì davvero degne d’una dittatura sudamericana. Il fenomeno del quale s’è reso da ultimo solenne documento quanto emerge dai filmati e dalle testimonianze delle abituali condotte di numerosi agenti penitenziari del carcere........

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