di Giulia Prosperetti

ROMA

"Di fronte a questo disagio emergente nella nostra società si può avere un approccio capace di restituire anche ai disturbi alimentari delle potenzialità trasformative se si è in grado di ascoltare e di partecipare alla vita delle persone che stanno vivendo una difficoltà. È necessario creare uno spazio di ascolto non giudicante della difficoltà dell’altro". Questo il messaggio lanciato da Lucio Rinaldi, psichiatra e psicoterapeuta, professore di Psichiatria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile del Day-Hospital di Psichiatria dell’Area Adolescenza e disturbi della Nutrizione presso il Policlinico Gemelli, alla luce dell’incremento dell’incidenza dei disturbi alimentari nel nostro Paese, in particolare tra i più giovani.

Il progetto #CiboAmico va in questa direzione?

"Non si propone come un percorso terapeutico. L’obiettivo è offrire un’opportunità che rappresenti un supporto ulteriore. Insieme agli chef vogliamo provare in dieci incontri ad affrontare la relazione con il cibo ripercorrendo determinati percorsi evolutivi e provando ad aggiungere frammenti di armonia per aiutare i ragazzi a recuperare un rapporto più armonico con il cibo, con la vita e con gli altri".

Stando ai dati sempre più giovani soffrono di disturbi alimentari. Qual è la sua esperienza?

"Nel nostro ambulatorio al Gemelli dal 2020-‘21 abbiamo avuto un aumento del 48-50% delle richieste. Persone sempre più giovani e situazioni sempre più difficili in cui il disturbo alimentare è spesso associato a comportamenti anticonservativi (self cutting, lesioni provocate tagliandosi o bruciandosi la pelle, idee suicidarie), depressione e disforia di genere".

Esiste un minimo comune denominatore che possa giustificare tale malessere diffuso?

"Il disagio mentale, in particolare adolescenziale, deve trovare delle forme di gestione. Questo ha portato a un aumento dei comportamenti che servono all’attenuazione dell’angoscia. E i disturbi alimentari rappresentano una soluzione efficace per alleviare il disagio emotivo. Ma da tentativo per risolvere una trappola evolutiva diventano una patologia vera e propria".

Può essere difficile cogliere tale disagio?

"Un tratto comune delle anoressiche è il perfezionismo, un livello di alta funzionalità. La personalità anoressiche viene spesso associata a una personalità ossessiva, ipercontrollante, che tende sempre a dare il massimo. Spesso sono ragazze molto brave a scuola. Vi è, però, una dissociazione interna tra aspetto intellettivo ed emotivo. L’aspetto intellettivo iper funziona, quello emotivo è ipo evoluto. Persone brillanti nelle quali può essere difficile cogliere un quadro depressivo".

Cosa si può fare per aiutare?

"Rivolgersi ai centri specializziati anche se, purtroppo, non sempre è sufficiente. La soluzione al problema di questi pazienti non è il mangiare. Bisogna avere un approccio comprensivo, far sentire queste persone accolte, non stigmatizzate. Questi disturbi non sono capricci. La famiglia non deve negare il problema ma mettersi in discussione".

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Lotta all’anoressia, anche gli chef in campo : "Le ricette per recuperare un rapporto con il cibo"

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03.12.2023

di Giulia Prosperetti

ROMA

"Di fronte a questo disagio emergente nella nostra società si può avere un approccio capace di restituire anche ai disturbi alimentari delle potenzialità trasformative se si è in grado di ascoltare e di partecipare alla vita delle persone che stanno vivendo una difficoltà. È necessario creare uno spazio di ascolto non giudicante della difficoltà dell’altro". Questo il messaggio lanciato da Lucio Rinaldi, psichiatra e psicoterapeuta, professore di Psichiatria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile del Day-Hospital di Psichiatria dell’Area Adolescenza e disturbi della Nutrizione presso il Policlinico Gemelli, alla luce dell’incremento dell’incidenza dei disturbi alimentari nel nostro Paese, in particolare tra........

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