Roma, 01 novembre 2023 – “Fintanto che nell’intimo del cuore freme l’anima ebraica e l’occhio guarda a Sion, là nell’oriente lontano, non è ancora perduta la nostra speranza, due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme”.

Il soldato nel deserto al tramonto, il violino, la musica dell’Hatikvà, l’inno nazionale di Israele. Hatikvà vuol dire speranza. Il testo dell’inno di Israele, che fu scritto da Naftali Herz Himber, ebreo nato nel 1856 a Złoczów in Galizia, odierna Ucraina, terra al tempo dell’impero Austro Ungarico.

Il video è stato diffuso dall’Idf (le Forze armate israeliane) sui social ed evoca tutto quello che può evocare, ma ci offre una lettura per comprendere come questa guerra sia vissuta oggi in Israele.

Il suono del violino rimanda alla memoria degli ebrei che suonavano nei campi di concentramento, l’inno nazionale salda quella memoria allo spirito nazionale che Israele rafforza ogni volta che si sente minacciato.

L’inno di Israele è amatissimo nel Paese, suonato già negli anni Trenta e poi istituzionalizzato dallo stesso David Ben Gurion dopo la nascita dello stato. Cantato anche da artisti (epica l’interpretazione di Barbra Streisand, suggestiva quella di Noa), ha radici anche italiane, almeno nella melodia simile in parte al “Ballo di Mantova” e a canti sefarditi o italo-sefarditi che accompagnava la preghiera per la rugiada del primo giorno di Pesach.

Ripulendo quel video dell’Idf dalla ovvia tara della propaganda, si può fare una riflessione. Queste immagini ci aiutano a interpretare la reazione di Tel Aviv dopo i massacri di Hamas. Non giustifica altri massacri, nulla giustifica orrore su orrore, ma spiega come l’incubo di essere un popolo perseguitato, come lo spettro secolare dei pogrom, abbia ferito per sempre l’anima degli ebrei. Quelle note malinconiche sono l’inno di un paese che mostra oggi tutta la sua potenza militare, ma nasconde un’anima fragile, una velo di indicibile tristezza, il legame viscerale con una terra che rappresenta l’unico approdo dopo due millenni randagi. Indubbiamente la pace e la convivenza sono l’unica soluzione all’odio crescente. Ma la pace non può prescindere dalla garanzia reciproca, israeliani e palestinesi, di vedere rispettata la propria sicurezza, la propria identità, alla fine la propria sopravvivenza. Due popoli accomunati da un destino che dovrà prima o poi trovare una conclusione comune. “Popolo libero nella sua terra”, dice una strofa dell’inno. Chissà se un giorno saranno “popoli liberi nelle loro terre”, nel rispetto reciproco”.

QOSHE - Il soldato al fronte suona l’inno col violino: in quelle note al tramonto l’anima fragile di Israele - Davide Nitrosi
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Il soldato al fronte suona l’inno col violino: in quelle note al tramonto l’anima fragile di Israele

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01.11.2023

Roma, 01 novembre 2023 – “Fintanto che nell’intimo del cuore freme l’anima ebraica e l’occhio guarda a Sion, là nell’oriente lontano, non è ancora perduta la nostra speranza, due volte millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme”.

Il soldato nel deserto al tramonto, il violino, la musica dell’Hatikvà, l’inno nazionale di Israele. Hatikvà vuol dire speranza. Il testo dell’inno di Israele, che fu scritto da Naftali Herz Himber, ebreo nato nel 1856 a Złoczów in Galizia, odierna Ucraina, terra al tempo dell’impero Austro Ungarico.

Il video è stato diffuso dall’Idf........

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