Myanmar, il grande gioco delle terre rare
Per quanto esistano organizzazioni internazionali che si prestano a realizzare fini solidaristici per il bene dell’umanità globale e sebbene lo stesso Pontefice Leone XIV abbia più volte denunciato lo sfruttamento delle nazioni più povere da parte delle super potenze, esse per fini economici e geopolitici perseverano ad alimentare la loro bramosia di potere e di monopolio economico, rendendo il gravoso problema sempre più attuale e senza alcuna soluzione di continuità.
A tale proposito, è opportuno citare l’ignominioso caso Myanmar, che nelle ultime settimane è tornato all’attenzione per una sequenza di eventi che, analizzati insieme, delineano un quadro allarmante.
Infatti, da un lato, la guerra civile che dal 2021 continua a devastare il Paese, con le forze governative impegnate a strappare città e autostrade strategiche al controllo delle milizie ribelli e dall’altro, l’amministrazione Trump ha deciso di interrompere lo status legale temporaneo per i cittadini birmani negli Stati Uniti, motivandola con le elezioni annunciate dalla giunta militare per la fine di dicembre, considerate da Washington un “segnale di miglioramento”.
Nel mezzo, la preoccupazione delle Nazioni Unite per le pressioni esercitate dal governo birmano sui cittadini affinché partecipino al voto, e per il rischio che la giunta del generale Min Aung Hlaing utilizzi strumenti di sorveglianza potenziati dall’intelligenza artificiale per schedare gli oppositori politici.
La narrazione ufficiale delle autorità di Naypyidaw parla di un processo di normalizzazione istituzionale, ma a livello internazionale cresce il sospetto che le elezioni siano solo un espediente propagandistico. L’ufficio Onu per i diritti umani teme che, dietro l’apparenza della consultazione, si nasconda un sistema di controllo capillare, capace di intercettare dissenso e orientare il voto in un........





















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