Il mondo dell’architetto che se n’è andato sabato era abitato da libri, musei, ma anche Topo Gigio. E perfino una tomba etrusca
Non era mai assurto a “venerato maestro” e molto se ne compiaceva. Preferiva di gran lunga la categoria di architetto “pornografico” come i cultori del rigore disciplinare lo avevano sempre etichettato. Del resto, Italo Rota, scomparso sabato a Milano all’età di settant’anni, è sempre stato un provocatore, nei progetti e nella vita. Per come si vestiva all’orientale, per come cucinava, per come disegnava, per ciò che collezionava, per come si è sposato alla maoista (come nella scena iniziale del “Caimano” di Nanni Moretti) con la più importante scenografa italiana, anzi italosvizzera, Margherita Palli, e anche per come conduceva la Naba: l’unica scuola a non avere un ufficio del direttore. Gianluigi Ricuperati ha scritto sulla Stampa, giustamente, che aveva una vocina felliniana, ma va aggiunta anche la capacità affabulatoria, bugie comprese, del regista.
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