I presidenti Anm? Stanno (quasi) tutti in Procura...
È una lunga storia, che però spiega più o meno tutto. Ci dice perché separare le carriere è necessario, inevitabile. Anzi, tardivo. È la storia recente dell’Anm. E delle sue leadership. A partire da Palamara, che ha presieduto il sindacato delle toghe fra il 2008 e il 2012, i numeri uno dell’associazione sono stati in nettissima maggioranza pubblici ministeri: 7 su 9. È un’assurdità, un evidente paradosso se si considera che gli inquirenti costituiscono sì e no il 20% dei magistrati. Qualcosa in meno e non in più.
Ti aspetteresti di vedere al vertice dell’associazionismo giudiziario, in netta prevalenza, giudici. Magari giudici civili, la sottocategoria nettamente più rappresentata. E invece no. Di magistrati giudicanti, negli ultimi 13 anni, se ne sono visti solo due, alla guida del sindacato. Uno è il predecessore dell’attuale leader Cesare Parodi, oggi capo dei pm di Alessandria, vale a dire Giuseppe Santalucia, giudice penale della Cassazione. Giudice illuminato, senza ombra di dubbio alcuna. Si deve a lui la remissione alla Corte costituzionale della norma che precludeva senza spiragli l’accesso ai benefici penitenziari per gli ergastolani “ostativi” non disposti a collaborare con la giustizia. L’altro presidente-giudice degli ultimi 9 è Pasquale Grasso. Giudice civile a Genova. Altra figura di spessore: affilatissimo quando si è trattato di polemizzare con i colleghi. Ma lui, Grasso, è durato pochissimo: due mesi appena, da aprile a giugno 2019. Un’eccezione mal tollerata. Il presidente espressione della moderata “Magistratura indipendente” è stato ricacciato via dalla gran parte........





















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