Letti sfatti e incidenti stradali, la potenza del cinema in due mostre a Milano
Alle soglie del 2026, chi è più moribondo tra il cinema e l’arte contemporanea? Perdonate la brutalità poco natalizia, ma attualmente nessuna delle due forme espressive se la passa troppo bene: il cinema si aggrappa a Checco Zalone, Avatar e Netflix per sopravvivere in qualche forma; mentre la nuova arte troppo spesso balbetta tra provocazione sterile e marketing. Eppure entrambe, quando vogliono, sanno ancora stupire e coinvolgere, e talvolta proprio l’intersezione tra i due linguaggi regala esperienze di rara intensità, anche al fruitore più disilluso.
È il caso di due mostre milanesi aperte fino a metà/fine febbraio, che intrecciano cinema e arte con esiti sorprendenti.
Sueño Perro (Sogno cane) è la "instalaciòn celuloide" che il regista messicano Alejandro Gonzalez Iñárritu ha creato per la Fondazione Prada, a venticinque anni dalla deflagrazione del suo esordio, Amores Perros: trecento chilometri di pellicola scartata, cioè una trentina di ore di girato, erano rimasti sul pavimento della sala di montaggio e Iñárritu ci ha rimesso mano per comporre un’esperienza sensoriale alternativa al film.
Nove proiettori analogici 35mm ci immergono nel frastuono e nella frenesia della Città del Messico del 2000 in sei sale della fondazione, a sua volta circondata dalle macerie della nuova Milano (quaggiù è tutto un cantiere olimpico-immobiliare).
Il percorso visivo si snoda tra vicoli fetidi, stanze scrostate e combattimenti canini, per precipitare nella sala centrale, dove assistiamo al violento incidente stradale che nel film connette le tre storie dei protagonisti – e che qui vediamo proiettato su tre pareti con diverse angolazioni del crash. Un backstage inedito che moltiplica a dismisura la forza della sequenza montata nel film, integrato al piano superiore dall’indagine fotografica e sonora del giornalista Juan Villoro, ad approfondire il contesto socio-politico del Messico di inizio millennio.
La mostra restituisce bene lo spirito di Amores perros, che originariamente doveva chiamarsi Amor y rabia e all’epoca sembrò una sorta di “Trainspotting latino” – quindi più sgarrupato e carnale. Un film impetuoso e ingegnoso, che rivelò al mondo Iñárritu, lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, l’attore Gael Garcia Bernal… e tutta la vitalità di quel cinema messicano che avrebbe dominato Hollywood nei decenni successivi. I “tres hermanos del cine mexicano” (Iñárritu, Cuarón e del Toro) hanno appiccato l’ultima grande scintilla di creatività indipendente nella mecca del cinema, un’accensione oggi assorbita dal sistema, ma ancora in grado di innestare idee visionarie e grande artigianato nell’industria........© HuffPost





















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