L’accusa più ricorrente che viene rivolta alla nostra società è di amplificare, con le sue dinamiche malate, il disagio individuale e relazionale delle persone. Le passioni scomposte sarebbero il frutto marcio di una società maleducata e incivile che fa emergere gli istinti brutali dei singoli. Le ultime due settimane dominate dalla narrazione della tragedia di Giulia stanno dimostrando che i media, in particolare la televisione, sono più malati della società, la sopravanzano per ossessività e compulsività dei suoi protagonisti.

Il fatto di cronaca che da due settimane a questa parte, cioè fin dalla scomparsa di Giulia e del suo assassino, è stato analizzato da ogni punto di vista e ha monopolizzato la programmazione televisiva pubblica e privata, deve suscitare sdegno e riprovazione morale ma non può azzerare il resto della realtà.

L’ideologizzazione dell’accaduto è il miglior alleato dell’assassino Turetta e il nemico più insidioso di un corretto inquadramento dei fatti. I media dovrebbero da questo punto di vista fare da camera di compensazione tra opposti estremismi ed astenersi dall’accanimento sugli aspetti più voyeuristici e macabri della crudele ed efferata uccisione di Giulia.

Cosa aggiunge al diritto all’informazione e allo stimolo all’approfondimento dei fatti la divulgazione delle ultime telefonate di sfogo di Giulia con le amiche? Abbiamo diritto come cittadini ad ascoltare quelle telefonate? E la continua sottolineatura dei morbosi atteggiamenti dell’ex fidanzato o la minuziosa ricostruzione del suo arrivo in Italia sono così pertinenti alla completezza del racconto o invece finiscono per alimentare solo la curiosità morbosa delle menti più perverse e la patologica frenesia investigativa del pubblico? Le indagini le fanno gli organi preposti. I media dovrebbero raccontare l’essenziale in modo completo ed equilibrato, dopodiché astenersi e non perdere la misura della realtà. In questo caso l’hanno persa da un pezzo, avvitandosi ossessivamente sulla vita privata dei protagonisti e sulla smania moralizzatrice rispetto alla presunta “natura criminale” del genere maschile.

Siamo sicuri che questo sia rispettoso dei doveri del giornalismo e faccia realmente bene alla società?

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L’accusa più ricorrente che viene rivolta alla nostra società è di amplificare, con le sue dinamiche malate, il disagio individuale e relazionale delle persone. Le passioni scomposte sarebbero il frutto marcio di una società maleducata e incivile che fa emergere gli istinti brutali dei singoli. Le ultime due settimane dominate dalla narrazione della tragedia di Giulia stanno dimostrando che i media, in particolare la televisione, sono più malati della società, la sopravanzano per ossessività e compulsività dei suoi protagonisti.

Il fatto di cronaca che da due settimane a questa parte, cioè fin dalla scomparsa di Giulia e del suo assassino, è stato analizzato da ogni punto di vista e ha monopolizzato la programmazione televisiva pubblica e privata, deve suscitare sdegno e riprovazione morale ma non può azzerare il resto della realtà.

L’ideologizzazione dell’accaduto è il miglior alleato dell’assassino Turetta e il nemico più insidioso di un corretto inquadramento dei fatti. I media dovrebbero da questo punto di vista fare da camera di compensazione tra opposti estremismi ed astenersi dall’accanimento sugli aspetti più voyeuristici e macabri della crudele ed efferata uccisione di Giulia.

Cosa aggiunge al diritto all’informazione e allo stimolo all’approfondimento dei fatti la divulgazione delle ultime telefonate di sfogo di Giulia con le amiche? Abbiamo diritto come cittadini ad ascoltare quelle telefonate? E la continua sottolineatura dei morbosi atteggiamenti dell’ex fidanzato o la minuziosa ricostruzione del suo arrivo in Italia sono così pertinenti alla completezza del racconto o invece finiscono per alimentare solo la curiosità morbosa delle menti più perverse e la patologica frenesia investigativa del pubblico? Le indagini le fanno gli organi preposti. I media dovrebbero raccontare l’essenziale in modo completo ed equilibrato, dopodiché astenersi e non perdere la misura della realtà. In questo caso l’hanno persa da un pezzo, avvitandosi ossessivamente sulla vita privata dei protagonisti e sulla smania moralizzatrice rispetto alla presunta “natura criminale” del genere maschile.

Siamo sicuri che questo sia rispettoso dei doveri del giornalismo e faccia realmente bene alla società?

Il caso di Giulia e i media, più malati della società

Il caso di Giulia e i media, più malati della società

L’accusa più ricorrente che viene rivolta alla nostra società è di amplificare, con le sue dinamiche malate, il disagio individuale e relazionale delle persone. Le passioni scomposte sarebbero il frutto marcio di una società maleducata e incivile che fa emergere gli istinti brutali dei singoli. Le ultime due settimane dominate dalla narrazione della tragedia di Giulia stanno dimostrando che i media, in particolare la televisione, sono più malati della società, la sopravanzano per ossessività e compulsività dei suoi protagonisti.

Il fatto di cronaca che da due settimane a questa parte, cioè fin dalla scomparsa di Giulia e del suo assassino, è stato analizzato da ogni punto di vista e ha monopolizzato la programmazione televisiva pubblica e privata, deve suscitare sdegno e riprovazione morale ma non può azzerare il resto della realtà.

L’ideologizzazione dell’accaduto è il miglior alleato dell’assassino Turetta e il nemico più insidioso di un corretto inquadramento dei fatti. I media dovrebbero da questo punto di vista fare da camera di compensazione tra opposti estremismi ed astenersi dall’accanimento sugli aspetti più voyeuristici e........

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