La crisi del progresso e l’estate del nostro scontento
Nel 1972 lo psicologo sociale Walter Mischel dell’Università di Stanford condusse un esperimento psicologico con bambini in età prescolare e un sacchetto di marshmallow (i tipici dolcetti gommosi americani). Offriva loro il marshmallow, ma con un’avvertenza: lui sarebbe andato via per 15 minuti, e se al suo ritorno avesse trovato il dolcetto ancora al suo posto, gliene avrebbe dato un altro, e avrebbero potuto mangiarsene due subito.
“L’inverno del nostro scontento” è una celebre espressione tratta dall’incipit del Riccardo III di Shakespeare. Quello che però in non molti sanno è che nel suo contesto il significato è opposto a quello che ci si potrebbe aspettare. Il protagonista del dramma si sta rivolgendo in termini adulatori al fratello Edoardo, che sta regnando durante un periodo piuttosto favorevole alla sua casata. Riccardo, che è un gobbo e si ritiene un essere meschino e ripugnante, parla del fratello come un sole che spazza via le rigidezze del passato, ma in segreto lo odia e sta già tramando per prenderne il posto.
"Ho deciso di fare il delinquente e di odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età", dice a un certo punto Riccardo. Egli quindi vive in un’era favorevole, ed è comunque un nobile: potrebbe dedicarsi ai piaceri della vita e alla costruzione della pace. E invece si rode e decide di distruggere per invidia e senso di inadeguatezza quella “estate” che è la vera ragione del suo scontento. Tradirà e ucciderà molte persone, tra cui anche familiari e amici, per raggiungere il suo scopo. E ce la farà a diventare re, ma infine pentendosene amaramente.
Ecco, forse noi esseri umani del XXI secolo siamo un po’ simili a Riccardo III. Viviamo una “estate” di grandi fortune e potenzialità: la crescita economica e lo sviluppo tecnologico ci offrono risorse, mezzi e opportunità impensabili anche solo poche generazioni fa. Eppure, siamo rosi da un risentimento che spesso non ci riusciamo bene a spiegare. Forse è invidia, forse è rimorso, forse è senso di inadeguatezza, forse è tutto questo insieme. Ma siamo non di meno pienamente convinti che, sotto la sua patina di floridezza, il mondo sia corrotto e dannato.
Forse la popolazione che più di tutte sembra rappresentare questo quadro sono gli statunitensi. L’economia americana sta registrando una robusta crescita: l’inflazione è quasi sparita, la Fed ha tagliato i tassi rendendo i mutui più convenienti e i posti di lavoro si moltiplicano mentre i salari aumentano. Eppure il presidente in carica è straordinariamente impopolare, e la sua vice rischia di perdere la corsa alla presidenza a fronte di un avversario il cui unico vero punto di forza sembra essere la promessa di rovesciare tutto un sistema dalle fondamenta qualora fosse eletto. Il 29%, quasi un americano su tre, è o è stato diagnosticato clinicamente depresso.
Ma si dirà che gli Stati Uniti sono un Paese tanto ricco e potente quanto disfunzionale e disuguale. E si avrebbe probabilmente ragione, ma allora che dire dell’Austria? Una nazione con uno dei più alti PIL pro-capite al mondo, con un esteso e perlopiù ben funzionante sistema di welfare, che alle ultime elezioni premia col 29% un partito fondato da un ex nazista. Ma potremmo anche parlare della Germania (non solo dell’est), della Francia, e in una certa misura anche dell’Italia: tutte nazioni ricche in cui spopolano partiti e proposte politiche accomunate forse da un unico aspetto fondamentale, ovvero l’avversione verso il modello esistente.
Da dove nasce questa apparente contraddizione? Forse a questa domanda, centrale per il nostro tempo, si può dare una risposta con i marshmellow di Mischel. Il suo esperimento mostrò che la maggior parte........
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