Le parole della democrazia e la qualità di istituzioni e informazione
“Imparerete ad assaporare parole e linguaggio. Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo”. E’ una delle scene iniziali de “L’attimo fuggente”, l’ottimo film diretto nel 1989 da Peter Weir e interpretato da Robin Williams, nel personaggio di John Keating, professore appassionato e spirito libero, arrivato a insegnare letteratura, alla fine degli anni Cinquanta, in un austero e tradizionalista college del New England.
Vincerà cinque Oscar, quel film. E una serie di altri premi internazionali. Per le sue straordinarie qualità cinematografiche. Ma anche per la capacità di interpretare compiutamente lo spirito dei tempi: la democrazia, fondata sulla conoscenza e la creatività, la libertà di parola e l’originalità dei pensieri. L’essenziale cultura della democrazia liberale innestata sui pensieri forti della scuola come luogo della promozione della giustizia sociale. Come leggere le riflessioni di John Maynard Keynes e le Costituzioni democratiche dell’Occidente attraverso le lenti d’una macchina da presa di Hollywood.
“Assaporare parole e linguaggio” della democrazia e della libertà, appunto. E fare tesoro della loro capacità seduttiva e coinvolgente. Guardiamo la data di quel film: 1989. In quell’anno, nella notte del 9 novembre, crolla il Muro di Berlino. Due giorni dopo, Mstislav Rostropovich suona con il suo violoncello, al Check Point Charlie, una Suite di Bach. Bach, il “ruscello” della libertà che adesso scorre come un fiume.
Il concerto di Rostropovich entra tra i grandi simboli della stagione in cui cambia la Storia. Nel 1991 implode definitivamente l’Urss (rileggere “Imperium” di Ryszard Kapuścinski per capire le conseguenze del crollo, fin nelle periferie di quel mondo). E qualcuno teorizza, in un eccesso di entusiasmo, appunto “la fine della storia” (titolo di un interessante libro di Francis Fukuyama): trionfano la democrazia liberale, l’economia di mercato, i sistemi di welfare occidentali, scompare il comunismo d’impronta sovietica. E’ una nuova stagione, di progresso e libertà.
Le cose, come sappiamo, non andranno proprio così. E la “fine della storia” lascerà il posto ad altre, inattese pagine, dal terrorismo internazionale alle guerre, oggi, alle porte dell’Europa. Ai rischi di un “tramonto dell’Occidente”, ben oltre le analisi di Oswald Spengler tracciate dal 1918 al 1923, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. E alla crisi contemporanea della democrazia.
Ecco, prendiamo in considerazione proprio questo punto. E ragioniamo su alcuni dati recenti che riguardano l’Italia.
Il Censis, nel suo ultimo Rapporto sulla situazione sociale (ne abbiamo parlato nel blog del 9 dicembre) racconta che il 30% degli italiani sarebbe contento di sperimentare un regime autoritario, anche cedendo libertà in cambio di benessere e sicurezza: si dichiara di “avere fiducia” negli “autocrati”, da Putin a Orban, Erdogan, XI JinPing e a Trump.
La democrazia, conferma il Censis, sta male. La percezione di una cattiva qualità della vita e la perdita di speranze ne minano le fondamenta.
Come si spiega tanta sfiducia? Ricordando, con Ágnes Heller, filosofa ungherese, che “l’uomo non è un animale democratico” ma la democrazia è una scelta di valori che va sostenuta, fatta vivere, alimentata, resa attraente anche alle nuove generazioni che via via cambiano (ci ha ragionato con acutezza Mattia Feltri qui su Huffington Post il 22 dicembre scorso).
Altri dati fanno molto riflettere, nella stessa direzione. Sono quelli del 28° Rapporto su “Gli italiani e lo Stato” raccolti, elaborati e commentati da LaPolis e dall’università di Urbino, secondo cui, per il 60% dei cittadini, “la democrazia è più debole”, mentre crescono paure e insicurezza (la Repubblica, 22 dicembre). Cade la fiducia nelle istituzioni, si salvano solo “le forze dell’ordine” (65% di consensi di fiducia) e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (60%) mentre in coda all’elenco ci sono i partiti (11%), il Parlamento (19%), le banche (21%), i sindacati Cgil, Cisl e Uil e le associazioni degli imprenditori (tutti al 24%), la Regione (quella in cui ciascuno vive) e la Ue (29%) e lo Stato (30%). In mezzo, le Ong, la magistratura, la Chiesa, la scuola.
“Cresce la percezione di declino, che coinvolge soprattutto le persone delle classi popolari e del ceto medio. E si allarga il distacco nei confronti delle istituzioni e dello Stato. Perché lo spirito democratico è alimentato dalla condizione sociale. E, parallelamente, si indebolisce quando l’ascensore sociale, invece di salire, discende”, commenta Ilvo Diamanti, responsabile del Rapporto LaPolis.
La crisi della democrazia liberale non è, naturalmente, una questione solo italiana. Tocca, anche se in modi diversi, un po’ tutti i paesi occidentali e quelli come il Giappone e l’Australia. L’Occidente, con i suoi valori democratici, riguarda più o meno un miliardo di persone su oltre 8 miliardi di abitanti della Terra: una condizione di minoranza, un tempo egemone, oggi molto meno attrattiva. E lo stesso Occidente, come comunità di destino e di valori analoghi, si è quanto meno spaccato in due, al di qua e al di là dell’Atlantico (le critiche durissime della Casa Bianca di Trump e del suo gruppo dirigente verso l’Europa e la Ue sono sempre più frequenti). In molti paesi europei, i partiti populisti ed estremisti, a destra e a sinistra, critici verso la democrazia liberale, sono in crescita di consensi.
Ha dunque ragione Michael J. Sandel, filosofo della politica, professore ad Harvard, quando parla di “Democrazia stanca” (Feltrinelli 2024, in seconda edizione), analizzando in particolare il sistema politico americano e rilevando “nuovi pericoli e possibili soluzioni per tempi difficili”. Tempi aggravati dall’abbraccio, da........





















Toi Staff
Sabine Sterk
Penny S. Tee
Gideon Levy
Waka Ikeda
Grant Arthur Gochin
Rachel Marsden