Dopo le elezioni Il nuovo presidente in Iran: parlare con Teheran si deve
A molti, dentro e fuori l’Iran, era sembrato solo uno specchietto per allodole. Per convincere qualche cittadino in più a partecipare al rito delle elezioni presidenziali in una Repubblica islamica piegata da anni di brutale repressione delle proteste popolari e da una crisi economica frutto degli avventurismi geopolitici e della corruzione del regime.
Pochi scommettevano che il moderatissimo candidato riformista, il settantenne Massud Pezeshkian, avesse chance di arrivare al ballottaggio, anche alla luce dei suoi deludenti risultati in precedenti elezioni. L’idea prevalente era che il sistema di potere sempre più repressivo l’avesse accettato come candidato perché preoccupato di un’astensione di massa che minava la retorica della partecipazione popolare, vista quale elemento di legittimazione formale di un regime odiato dalla grande maggioranza degli iraniani.
In Occidente, il pensiero prevalente era che la sfida vera sarebbe stata fra una scelta cattiva e una pessima: o il presidente dell’Assemblea parlamentare ed ex sindaco di Teheran, Mohammed Bagher Qalibaf, o l’ex negoziatore nucleare, il falco........
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