Non siamo alla “fine del mondo”: c’è la Città di Dio che viene
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20.12.2025
Ci sono momenti nella storia in cui una civiltà si accorge di non essere eterna: le sue strutture mostrano crepe, le sue promesse non bastano più. Sono tempi in cui si moltiplicano le paure, si cercano colpevoli, si invocano soluzioni rapide. Sant’Agostino scrive La Città di Dio in una di queste circostanze. Roma, che per secoli aveva incarnato l’idea stessa di ordine, diritto e stabilità, viene saccheggiata nel 410. L’“eterna” Urbe si scopre vulnerabile. Molti parlano apertamente di fine del mondo.Anche oggi, pur senza saccheggi visibili, si diffonde una sensazione simile: che ciò che reggeva non regga più. Senza crolli spettacolari, ma attraverso crisi che si sovrappongono – guerre, disuguaglianze, fragilità ambientali, sfiducia nelle istituzioni – cresce la sensazione che ciò che appariva solido non lo sia più.Nell’ultima settimana di Avvento, mentre l’attenzione sembra concentrarsi solo sull’imminenza del Natale, la liturgia invita invece ad allargare lo sguardo. Non solo verso la nascita di Cristo, ma verso l’orizzonte ultimo della speranza cristiana. È qui che il pensiero di Agostino torna a parlarci con sorprendente lucidità.L’Ipponate non risponde al crollo di Roma difendendo un sistema politico o rimpiangendo un passato idealizzato. Compie un gesto più radicale: invita a ripensare il senso della storia e il luogo autentico della speranza. È in questo contesto che nasce la sua celebre distinzione tra la città di Dio e la città dell’uomo. Una distinzione spesso fraintesa, ma decisiva per comprendere l’Avvento.Non si tratta di due città geografiche, né di una contrapposizione semplicistica tra........
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