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Volti di speranza Il terremoto in Irpinia e quell'amicizia nata tra le macerie

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14.08.2024

Un'immagine del terremoto in Irpinia del 1980 - Ansa

Domenica pomeriggio, ancora un mese e sarà Natale. Sto chiacchierando pigramente con Franco quando accade. Le case intorno a noi ballano. Stanno quasi per caderci in testa. Il terremoto! È il terremoto! Ed è subito panico. Porte che sbattono, urla disperate, mamme che chiamano i bambini, gente che si riversa per strada, traffico in tilt.

D’istinto corro verso la casa di Giovanni, mio fratello. Angelina, sua moglie, ha partorito da pochi mesi, avranno bisogno di aiuto. Notte all’addiaccio. Arrivano le prime notizie. La zona più colpita è l’Alta Irpinia. C’è bisogno di tutto. Martedì. Corro a Napoli per offrirmi volontario. C’è un po’ di confusione nella caserma adibita allo smistamento. Chi mette a disposizione la propria auto parte subito. Io mi sono fatto accompagnare da mio fratello, sono quindi a piedi. Aguzzo lo sguardo e le orecchie.

Un giovane della mia età ha avuto il permesso di aggiungersi al convoglio. Lo avvicino in fretta: «Ciao, come ti chiami? Io sono infermiere. Sei solo? Ti fa piacere se vengo con te?». Certamente. Massimo è un medico di Pozzuoli. Partiamo. Non ci siamo mai visti primi, pochi minuti e siamo già entrati in confidenza. Oltre all’età, abbiamo in comune l’entusiasmo, la professione, il desiderio di aiutare il prossimo. Sono i primi giorni del disastro. Le strade interrotte, impraticabili, impediscono ai soccorritori di avanzare con celerità. Le informazioni sono ancora incerte. La stampa fa i nomi dei centri colpiti: Avellino, Potenza, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza, Teora. Ma ci sono, purtroppo, decine di piccole frazioni, abitazioni sparse nelle campagne, completamente isolate, di cui nessuno sa niente. Tutto crollato. Macerie dappertutto. Telefoni muti. Elettricità interrotta. Intere........

© Avvenire


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