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Educare alla speranza Così da un bambino in affido ho imparato a donare

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12.03.2024

Ansa

L’avventura di essere padre affidatario, una delle esperienze più belle (e impegnative) della mia vita, è iniziata grazie a mia moglie. Da fidanzati, appena abbiamo cominciato a parlare di matrimonio e di famiglia, lei ha messo subito le carte in tavola: «Io desidero una famiglia aperta, una casa accogliente, con le porte spalancate al mondo». Era decisamente più convinta di me: è sempre stata aperta a grandi orizzonti e mi ha sempre aiutato ad allargare lo sguardo, a togliere il freno a mano.

Pochi mesi dopo il matrimonio, mia moglie torna alla carica e mi propone un percorso di affido. Decido di fidarmi, di buttarmi in questa avventura: diamo così la disponibilità a diventare genitori affidatari. Dei colloqui preliminari ricordo una stanza in un palazzo di Milano affacciata su un cielo grigio d’inverno, il sorriso gentile di una assistente sociale, la voce roca e calda di una psicologa. Ci si apre un mondo molto variegato e poco conosciuto. Molti confondono l’affido con l’adozione, ma l’affido ha forme più varie, più flessibili: è un universo di possibilità, nel quale possono mettersi in gioco non solo le persone sposate, ma anche i single e i conviventi. Scopriamo quanto bisogno c’è: moltissimi minori attendono, tuttora invano, qualcuno che li accolga in una relazione che li aiuti a crescere, in uno spazio protetto e sereno.

Tutto questo ci motiva sempre di più. Finito il percorso, ci dicono che potremmo essere idonei. Ma, prima, ci lanciano una sfida: «Vi chiediamo di partecipare a un incontro di condivisione di un gruppo di famiglie affidatarie, così ascoltate un po’ di vita reale. Dopo, se ancora ve la sentite, ne riparliamo ». Ovviamente accettiamo la proposta. Arriviamo all’incontro sorridenti; io, devo ammetterlo, pure un po’ spavaldo: nelle chiacchierate con la psicologa e l’assistente sociale avevo superato molti dubbi, avevo colto la bellezza di ciò a cui ci stavamo aprendo; insomma, avevo gettato il cuore oltre l’ostacolo. Per questo entro in quella stanza........

© Avvenire


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