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Educare alla speranza Chi concede tutto e chi dona, la differenza per un buon genitore

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06.02.2024

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Eugenio era un ragazzo brillante, intelligente e pieno di talenti, che però sprecava clamorosamente. C’era un lavoro di gruppo? Lui era quello che faceva perdere tempo agli altri. C’era la fila per andare in mensa o al bar della scuola? Lui la saltava. C’era qualcosa da studiare, un compito da svolgere? Lui non combinava nulla. Aveva una sfilza di voti negativi, una ricchissima collezione di ritardi e il libretto scolastico che era un’antologia di note. Ma per molti coetanei era un mito. Figlio di ricchissimi imprenditori, ostentava il suo benessere con una spavalderia clamorosa. I compagni, ridendo, affermavano che aveva un iPhone diverso per ogni giorno della settimana: battuta non così lontana dalla verità. Di certo, se usava il telefono in classe e un prof glielo ritirava, lui ne estraeva subito uno di riserva per continuare a farsi gli affari suoi sotto il banco. Molte ragazze impazzivano per lui: « È bellissimo, è simpatico, è carismatico. È il top, prof!», dicevano. Lui cambiava una fidanzata al mese, con lo stesso ritmo con cui cambiava i cellulari. Sfruttava cose e persone come gli andava, con la logica dell’usa e getta. A scuola veniva con l’autista, che era anche la persona delegata a ritirare le sue pagelle, visto che i genitori, sempre in giro per l’Europa per lavoro, non potevano mai essere presenti alle riunioni.

A metà della seconda superiore però il padre di Eugenio fu costretto a fare un’eccezione: dovetti convocarlo per il comportamento sempre più irrispettoso del figlio. Venne a colloquio con un piglio sicuro di sé. Era un atletico cinquantenne, dal sorriso smagliante. Si sedette: « Allora, mio figlio? Ha visto, eh?», chiese, ammiccante. Mi domandai che cosa dovessi aver visto. Non azzardai risposte, lo lasciai proseguire. Lui continuò senza bisogno di chiederglielo: « Brillante, vero? E sempre allegro». «Certo.........

© Avvenire


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