C’era una volta il Senegal. Forse è il caso di scriverlo. I fatti di questi giorni non fanno onore ad una nazione che in tutti questi anni è stata una sorta di isola felice, all’insegna dell’alternanza, nel contesto della geopolitica africana. Basti pensare al Padre della Patria, Léopold Sédar Senghor. Intellettuale di grande spessore, maestro della négritude (una scuola di pensiero che condivise con altri intellettuali del calibro dell’antillese Aimé Césaire), imputò al colonialismo di aver misconosciuto la civiltà africana, per imporre una propria logica civilizzatrice, con l’intento di sfruttare le risorse del continente. Anche se poi con il passare degli anni Senghor avvertì la necessità di superare la concezione originaria di una négritude identitaria, per dedicarsi all’edificazione di un umanesimo integrale ed universale. Come ha osservato il professor Andrea Riccardi, «Senghor ha rappresentato la cultura meticcia tra Africa ed Europa: una “art nègre”, come diceva, in lingua francese. La sua grande opera letteraria è un meticciato di culture e sensibilità».
Con queste premesse, sarà mai possibile che l’attuale presidente Macky Sall sia stato capace di far precipitare il Senegal nell’incertezza? Sia chiaro, già in passato questo Paese era stato attraversato da turbolenze politiche. Basti pensare a quando il 29 giugno del 2011 l’allora presidente Abdoulaye Wade tentò di far approvare dall’Assemblea Nazionale un pacchetto di riforme che modificava due articoli del dettato costituzionale, avanzando la possibilità di essere eletti alla massima carica dello Stato al primo turno con una soglia del 25% dei voti anziché del 50% e di eleggere a suffragio universale il presidente e il vicepresidente.
Quella proposta, considerata irricevibile dalla società civile fece scoppiare accese proteste popolari nella capitale, Dakar. Motivo per cui Wade fu dunque costretto a ritirare il provvedimento.
Ciò nonostante, tornò alla carica, candidandosi per le presidenziali previste per il febbraio 2012. Una decisione questa che generò non poco scontento in quanto i suoi detrattori ritenevano anticostituzionale la legittimità della sua ricandidatura: secondo i suoi oppositori sarebbe stata infatti la terza consecutiva. Wade di converso sosteneva l’ammissibilità, considerandola la seconda in forza del principio della non retroattività, secondo cui non andava applicata la legge del 2001 che modificò la costituzione portando la durata del mandato presidenziale a 7 anni. In sostanza Wade riteneva che non dovesse essere considerato il suo primo mandato inaugurato nel 2000. A dirimere il caso fu chiamato il Consiglio Costituzionale, che il 27 gennaio approvò la candidatura di Wade rifiutandone altre.
La decisione gettò il Paese nel caos e le proteste ripresero, a Dakar come in tutto il Paese, causando morti e feriti. La tensione scese tuttavia qualche giorno prima della consultazione che decretò al secondo turno la vittoria di un suo ex delfino, Macky Sall che così divenne il quarto presidente del Senegal. Detto questo, Sall è stato eletto nuovamente nel 2019 per un mandato di 5 anni, a seguito di una revisione costituzionale che fissava un limite presidenziale di 2 mandati. Sebbene i suoi sostenitori avessero chiesto che si ricandidasse quest’anno, sostenendo che il suo primo mandato secondo la precedente Costituzione non dovrebbe contare, ha deciso di ritirarsi dalla competizione. Nel mese scorso il Consiglio costituzionale aveva provocato un esteso malcontento dopo aver escluso dalla lista dei candidati alcuni importanti membri dell’opposizione. Il dato inquietante è comunque rappresentato dalla svolta autoritaria di Sall nei confronti di chiunque si opponga al suo delirio. Il rinvio a tempo indeterminato delle presidenziali fissate per il prossimo 25 febbraio la dice lunga. C’è da chiedersi se oggi esista una cultura (non solo in Africa) orientata alla partecipazione. Anche perché la sostenibilità della democrazia passa, soprattutto, anche attraverso il comportamento responsabile delle élite.

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QOSHE - La storia In Senegal partecipazione da costruire - Giulio Albanese
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La storia In Senegal partecipazione da costruire

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12.02.2024

C’era una volta il Senegal. Forse è il caso di scriverlo. I fatti di questi giorni non fanno onore ad una nazione che in tutti questi anni è stata una sorta di isola felice, all’insegna dell’alternanza, nel contesto della geopolitica africana. Basti pensare al Padre della Patria, Léopold Sédar Senghor. Intellettuale di grande spessore, maestro della négritude (una scuola di pensiero che condivise con altri intellettuali del calibro dell’antillese Aimé Césaire), imputò al colonialismo di aver misconosciuto la civiltà africana, per imporre una propria logica civilizzatrice, con l’intento di sfruttare le risorse del continente. Anche se poi con il passare degli anni Senghor avvertì la necessità di superare la concezione originaria di una négritude identitaria, per dedicarsi all’edificazione di un umanesimo integrale ed universale. Come ha osservato il professor Andrea Riccardi, «Senghor ha rappresentato la cultura meticcia tra Africa ed Europa: una “art nègre”, come diceva, in lingua francese. La sua grande........

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