L'analisi L'ora di resistere. Navalny non merita lacrime di coccodrillo
Era colui che non si può citare. Non soltanto il presidente Putin evitava accuratamente di pronunciare il suo nome, ma a tutto lo staff del Cremlino, per quanto si racconta, era proibito evocare la sua figura, assai scomoda per il sistema di potere egemone da decenni. E non bisogna, purtroppo, illudersi che la tragica morte di Alexeij Navalny riesca a rompere la cortina di silenzio che viene fatta calare su ogni forma di dissenso interno. Mentre in Occidente è unanime il cordoglio per la scomparsa del coraggioso oppositore, a Mosca poche parole nei telegiornali per segnalare brevemente e in tono neutro che il detenuto è spirato dopo l’ora d’aria. Navalny era il più temuto – anche se ormai ampiamente sotto controllo – degli sfidanti dello Zar Vladimir perché era un potenziale leader in sintonia con una parte del popolo russo (nel 2013, ottenne il 27% dei suffragi nella corsa a sindaco della capitale, malgrado il pesante boicottaggio cui fu sottoposto dalle autorità). Non un liberale in stile europeo o americano, piuttosto un esponente del nazionalismo post-sovietico che, all’inizio della sua militanza, fu espulso dal partito moderato Jabloko per le posizioni vicine alla destra revanscista. Ma era........
© Avvenire
visit website