Il Dopoguerra dei vinti
Con questo articolo inauguriamo “Squalo chi legge”, newsletter settimanale di recensioni di libri, consigli per la lettura, testi da tenere sul comodino liberamente scelti dalle firme di Tempi. Più qualche stroncatura. Una indispensabile miscellanea di opere nuove, in uscita o ripescate, alcune famose, altre sconosciute o magari dimenticate, ognuna da leggere (o da cestinare) per un motivo preciso.
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«C’era una volta un quartiere con strade larghe e diritte, piazze, parchi, case a cinque piani con il prato di fronte, garages, osterie, chiese e toilettes. Il quartiere ha inizio presso la stazione di una linea ferroviaria periferica e si estende fino a poco oltre la fermata successiva.
Viaggiando in treno, per un quarto d’ora si ha un panorama ininterrotto su qualcosa che somiglia a un’enorme discarica di frontoni in pezzi, singoli muri rimasti in piedi con finestre senza vetri che, come occhi spalancati, guardano già verso il treno, indefinibili resti di case con tracce ampie e nere di incendi, resti alti, scolpiti arditamente come monumenti alla vittoria oppure piccoli come pietre tombali di media grandezza. […] Tutte le forme geometriche si trovano rappresentate in questa variante di Guernica e Coventry».
Non è il Donbass, non è Kharkiv. 1946, Amburgo: in una Germania in macerie folle di senzatetto si rifugiano nelle cantine dei palazzi bombardati, mentre dall’Est continuano ad arrivare convogli carichi di profughi. Ad Ovest, nella Ruhr distrutta, in due giorni sono caduti in quell’autunno 60 centimetri di pioggia: e........
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