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“Festa popolare”? La Coppa d’Africa è una grande operazione industriale e politica

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C’è un dettaglio che dice più di mille conferenze stampa: la Coppa d’Africa 2025 non si presenta come “festa popolare”, ma come un evento che sa già dove vuole stare nella catena del valore. Non solo stadi pieni e bandiere: lounge, pacchetti premium, accordi media a raffica, investimenti su aeroporti e trasporti. Il Marocco – che la ospita dal 21 dicembre al 18 gennaio – prova a trasformare un torneo in una certificazione di affidabilità: organizzativa, economica e geopolitica.

Sotto i riflettori, la Coppa d’Africa è sempre stata una festa: tamburi, colori, notti lunghe. In Marocco, però, la festa viene “messa a bilancio”. Nove stadi in sei città, 24 nazionali, 52 partite: l’AFCON 2025 è progettata come una prova generale del Mondiale 2030 e, insieme, come una dichiarazione di potenza ordinata. Il punto è che l’AFCON oggi è, prima di tutto, un’industria. E come tutte le industrie vive di tre parole poco romantiche ma decisive: diritti, sponsor, flussi.

Il calcio come prodotto televisivo

La CAF sa che la partita vera, fuori dal campo, è la distribuzione. Non è un caso che abbia annunciato un’espansione delle partnership europee, con l’idea (non banale) di tornare o entrare su canali free-to-air in alcuni mercati: più pubblico, più “valore percepito”, più appetibilità per gli sponsor. Qui il tecnicismo è semplice: i diritti tv sono il prezzo che un’emittente paga per trasmettere le gare. Se aumenti copertura e accessibilità, aumenti la vetrina. E la vetrina, nello sport globale, è moneta.

Nei documenti della CAF il peso economico è esplicito: nel budget 2024-2025 (anno non AFCON) la voce “TV & Media” vale 76,13 milioni di dollari e le sponsorship 55,73 milioni, su ricavi totali previsti di 149,86 milioni. Tradotto: il motore principale non è il botteghino, è lo schermo. E quando il torneo arriva, il salto è brutale. La CAF, nella relazione finanziaria 2023-2024, registrava “revenue from........

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