Kafka superstar e il suo fascino intramontabile
L’angoscia, certo, ma anche un lato solare, un figlio mai conosciuto e molti struggenti amori. E tuttavia una sola fedeltà: alla letteratura
Da lui emanava una potenza insolita che non ho più incontrata. Non pronunciava mai una parola insignificante… Nonostante la timidezza, era considerato da persone eminenti un essere eccezionale”. Così tramanda Max Brod, autore di una prima biografia di Kafka e suo grande amico. Kafka invece la vedeva diversamente. Questo l’autoritratto che delineò in una lettera (mai spedita fortunatamente) al futuro suocero, padre della fidanzata Felice Bauer, la destinataria di lettere straordinarie, considerate parte dell’opera e fondamentali per capirne la personalità: “Sono un uomo chiuso, taciturno, poco socievole, malcontento, senza che ciò costituisca per me un’infelicità, perché è soltanto il riflesso della meta. Tutto ciò che non è letteratura mi annoia e provoca il mio odio, perché mi disturba o mi è d’inciampo”. Per cui giustamente conclude che Felice “con me dovrà essere infelice”. Non che non aver spedito la lettera avrebbe salvato quel fidanzamento. Franz non era fatto per il matrimonio e di fedeltà ne conosceva una sola, alla letteratura appunto.
Le donne però s’innamoravano di lui, della sua fragilità e della sua bellezza scarna, dei suoi occhi chiari, della sua imprendibilità anche, probabilmente. E non solo le donne. Ne erano affascinati i colleghi intellettuali perché, come scrive Milan Kundera in Praga, poesia che scompare, pubblicato ora da Adelphi, quella città già negli anni Venti “fu uno dei centri più dinamici del pensiero e della sensibilità moderni”. Vi si muovevano personalità come Franz Werfel, Egon Erwin Kisch, Jaroslav Hasek, Vladimir Holan, cui sarebbe seguito negli anni Trenta il Circolo linguistico che inventò lo strutturalismo. E poi c’era il musicista Leós Janácek, fervente militante antiaustriaco, “insieme a Kafka, la più grande personalità dell’arte moderna del suo paese”, scrive Kundera che ricorda come lo stesso Brod condusse “a favore di questo compositore screditato e geniale, una battaglia così appassionata e importante che Kafka non ha esitato a paragonarla a quella degli intellettuali francesi per Dreyfus”.
Ma non è per questo che Kafka esercita nel tempo un fascino intramontabile e potente, e neppure probabilmente – sempre citando Kundera – perché fu “il primo a realizzare la fusione alchemica di sogno e realtà (non ancora postulata dai surrealisti), a creare un universo autonomo dove il reale sembra fantastico e dove il fantastico smaschera il reale”. Non è per questo che il suo nome è diventato un formidabile aggettivo e parlano di “situazione kafkiana” anche quelli che non l’hanno mai letto, ma che sanno per sentito dire delle sue perenni indecisioni sentimentali e delle tribolazioni come impiegato di un Istituto di assicurazioni. Nessuno, nemmeno Proust si direbbe, è entrato così fortemente nella fantasia e nel linguaggio delle persone. Con la parola kafkiano s’intende un sentimento di minaccia indecifrabile, un senso enigmatico di disagio nello stare al mondo, e di pericolo. Il 3 giugno si celebra il centenario della morte e non si contano gli omaggi, le trasmissioni radiotelevisive a lui dedicate, gli articoli commemorativi, convegni e nuovi libri che escono sulla sua figura.
L’editore Clichy si è affidato per raccontare il grande praghese ai geniali fumetti dell’illustratore viennese Nicolas Mahler con A tutto Kafka:........
© Il Foglio
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