“Si fa presto a dire giornalista”, l’intervista a Gianfranco Fabi
Raccontare cinquant’anni di giornalismo partendo dalle sconfitte è una scelta deliberatamente controcorrente. In un’epoca che esalta il successo come destino e la visibilità come misura del valore, Gianfranco Fabi, giornalista di lunga esperienza e tra i protagonisti dell’informazione economica italiana, rovescia la prospettiva e ricostruisce la propria vicenda professionale mettendo al centro ciò che di solito viene rimosso dal racconto pubblico: errori, battute d’arresto, occasioni mancate, porte chiuse. Non per spirito polemico né per compiacimento autobiografico, ma per mostrare come il mestiere del giornalista – e, forse, ogni vocazione autentica – non segua una scalata lineare, bensì un cammino irregolare, fatto di deviazioni che spesso si rivelano decisive. Da questa traiettoria emerge una riflessione ampia e rigorosa sul senso del giornalismo, sulla responsabilità dell’informazione e sul legame profondo tra libertà, conoscenza e democrazia.
Nel suo racconto di prossima pubblicazione le sconfitte non sono episodi marginali, ma veri snodi di senso. Perché ha scelto di farne l’ossatura della sua storia professionale?
Perché sono state le esperienze più formative. La nostra società tende a leggere le biografie come successioni ordinate di successi, ma questa è una narrazione rassicurante e in larga parte falsa. La realtà è molto più discontinua. Le sconfitte, soprattutto quelle che non ti aspetti o che percepisci come ingiuste, ti costringono a interrogarti sul perché fai quello che fai. Ti spogliano delle ambizioni di superficie e mettono alla prova la solidità delle motivazioni profonde. La mia prima vera sconfitta, la bocciatura al liceo, è stata vissuta allora come una frattura umiliante. Col tempo ho capito che senza quella caduta non avrei mai incontrato le persone giuste, non avrei........





















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