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Gianna Gissi, la costumista istriana e il valore di “essere italiani”

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28.06.2024

“Questo libro è dedicato alle mie splendide nipoti”. Spesso le dediche dei libri esprimono la volontà dell’autore di destinare la sua opera e contengono lo scrigno più sintetico delle sue passioni. È sicuramente così per il libro di Gianna Gissi. Un’istriana al cinema, a cura di Alessandro Cuk per Alcione Editore. La monografia racconta la vita e le opere di una delle costumiste più importanti del cinema italiano. E la vita di Gianna Gissi ha una partenza indelebile. Nasce a Pola, il 5 febbraio 1943, in una cantina d’ospedale, sotto i bombardamenti. Poi, a quattro anni, nel ‘47, è costretta a fuggire da Stignano di Pola, dove abitava. “Non capivo perché mi avevano strappato ai miei luoghi, ai luoghi dove giocavo, alle mie cugine, ai miei nonni”, racconta questa maestra del cinema moderno oggi anche signora della storia. “All’inizio pensavo fosse una gita al mare, perché siamo saliti su questa nave, il Toscana, e mia mamma mi mise, come avevano tutti una coccarda tricolore sul bavero del cappotto”. La “coccarda tricolore” di Gianna Gissi è “il simbolo identitario” che l’artista lascia alle nipoti. E con loro, ai giovani, a noi, che ancora non del tutto conosciamo la storia da cui veniamo. Per questo ha voluto scrivere la sua monografia. Si sarà accorta dell’incoscienza e della scarsa partecipazione alle sorti di questa Italia flagellata, del rischio che corre “l’italianità e il made in Italy” e dell’orgoglio e della combattività necessari.

In Italia ci sono più di 350mila anime fiumane, istriane, dalmate, oggi moltiplicate in famiglie, figli, nipoti, che “per essere italiani” hanno lottato da “esuli”. Una popolazione nella popolazione costretta con la forza ad emigrare dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia dopo il massacro delle Foibe, che si ricorda ogni anno nel “Giorno del ricordo”, il 10 febbraio. Furono tra i 5 mila e 10 mila “gli infoibati” per “il torto di essere italiani”, insieme a quanti furono costretti a lasciare tutto per liberare i territori ceduti, col Trattato di Parigi, alla Jugoslavia del maresciallo comunista Josip Broz Tito. “Mi ricordo mia mamma che piangeva, mi ricordo quando ci siamo allontanati dal molo di Pola”, scrive Gianna Gissi, tornando a quel dolore antico, mai sopito perché mai ancora del tutto sviluppato. Anche perché “la questione istriano-dalmata” è stata a lungo rimossa. Una pagina che non ha trovato ancora quel numero di libri, film, saggi, analisi necessari.

La carriera di Gianna Gissi inizia nel cinema degli anni Settanta a fianco di Mario Monicelli (dopo un debutto televisivo accanto a uno dei più noti registi dello sceneggiato tivù, Edmo Fenoglio) e attraversa tutta la filmografia dagli anni Ottanta fino ai nostri giorni. Una galleria di migliaia di costumi. Ma che dico, di più, poiché lei stessa racconta che solo sul set del Marchese del Grillo vestiva ogni giorno mille comparse. “Nel cinema ci vuole una salute di ferro e nervi di acciaio”, dice citando il celebre costumista, scenografo, pittore Dario Cecchi, figlio dello scrittore Emilio Cecchi, suo mentore. E va spiegato che il costumista non è l’artefice solo dell’abito, ma l’autore della parte visibile dell’attore, dell’opera, della regia.

Per capire il valore della filmografia di questa preziosa artista, il suo peso culturale con l’elenco dei Premi, il suo ruolo nella cultura italiana, infine tutta l’attività didattica e personale, occorre tornare all’esula bambina e alle immagini di vita vera. A cominciare dalla fuga da Pola fino a Roma, al viaggio durissimo, in treno, camion, con soste e giorni di paura e fatica. A Roma perché? “Perché mio papà aveva un cugino, zio Natale, che stava a Roma dagli anni Trenta. E quando mio padre andò via, di notte, ricordo l’immagine........

© L'Opinione delle Libertà


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