Rubio e la supremazia cinese in Sudamerica: maneggiare con cautela
La recente nomina di Marco Rubio a segretario di Stato nell’imminente amministrazione Trump è stata accolta, da più parti, come un segnale rassicurante verso gli alleati statunitensi, soprattutto quelli nell’Asia pacifica. Tuttavia, il fatto che la scelta per un ruolo così delicato sotto il profilo diplomatico sia ricaduta sul senatore della Florida lascia presagire l’intenzione, da parte del presidente eletto, di perseverare in una linea dura nelle relazioni con Pechino, tramite una strategia che, se si guarda alla storia politica del designato capo degli Esteri, potrebbe non limitarsi al protezionismo e condurre al conseguente inasprimento della guerra commerciale in atto tra le potenze occidentali e il colosso asiatico. Con riferimento, in particolare, ai dazi sulle importazioni in Usa, Ue e Canada di veicoli elettrici, acciaio e altri beni provenienti dalla Cina.
Campione della tutela dei diritti umani, strenue difensore dell’indipendenza da Pechino di Taiwan e Hong Kong, Marco Rubio non ha mai fatto mistero – in virtù anche del suo viscerale anticomunismo da figlio di immigrati cubani – della sua avversione al modello cinese, culminata nelle proposte di attuare policy restrittive, quali il divieto di esportazione verso la Cina di tecnologie americane, l’inclusione nell’apposita black list di un crescente numero di aziende cinesi considerate minacce per la sicurezza nazionale statunitense, l’Hong Kong human rights and democracy Act del 2019 – misura bipartisan che impone sanzioni contro gli ufficiali cinesi considerati responsabili delle violazioni dei diritti umani perpetrate nel territorio autonomo – e l’Uyghur forced labor prevention Act, volto a impedire l’importazione di merci prodotte........
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