Algoritmi che calcolano, legge che non vede
L’illusione giuridica dell’Intelligenza artificiale
Ciò che i linguaggi della tecnica e del diritto chiamano oggi “Intelligenza artificiale” è, in realtà, un insieme stratificato di dispositivi di calcolo: modelli statistici, reti neurali, sistemi di apprendimento automatico capaci di trattare masse immense di dati, di estrarne regolarità, di generare previsioni, raccomandazioni, decisioni operative. Fenomenicamente, questi dispositivi imitano gesti che siamo soliti attribuire all’intelligenza umana: riconoscere un volto, tradurre un testo, predisporre una diagnosi, suggerire una strategia, selezionare tra diverse opzioni quella ritenuta più “ottimale” rispetto a determinati parametri. Ora, questa mimesi è sufficiente per parlare di “intelligenza” solo se si è già ridotto l’intelletto a mera funzionalità, la ragione a macchina di calcolo, il pensiero a pura capacità di risolvere problemi. L’intelligenza, in senso proprio, è altro. È l’atto con cui il soggetto personale si apre alla verità dell’essere, coglie il significato delle cose, discerne il bene e, in questa luce, orienta la propria libertà. È un atto spirituale, non un semplice funzionamento: implica coscienza di sé, responsabilità, risposta a un ordine di senso che non dipende dal soggetto ma lo precede e lo interpella.
Il dispositivo algoritmico, per quanto sofisticato, non “vede” il vero, non “ama” il bene, non “decide” nel senso forte del termine: elabora simboli secondo regole sintattiche che non comprende, produce esiti che appaiono razionali solo perché funzionali a scopi esterni che gli sono stati impressi. Non esiste in esso un “io” che si assuma l’atto, non c’è interiorità che possa dire “questo è giusto” o “questo è ingiusto”. Chiamare “intelligenza” questo funzionamento significa già aver introiettato una visione impoverita dell’uomo. L’aggettivo “artificiale” non attenua l’equivoco, lo radicalizza: suggerisce che ciò che è tecnicamente prodotto possa essere copia fedele di un atto che, per sua natura, non è fabbricabile. Il sintagma “Intelligenza artificiale” è dunque un cortocircuito concettuale: trasferisce sulla macchina il nome di ciò che appartiene in senso proprio alla persona, e retrocede la persona al livello della macchina. L’ordine gerarchico tra ciò che è strumentale e ciò che è fine viene rovesciato: lo strumento pretende di occupare il luogo del soggetto, la funzione pretende di dettare la misura dell’essere. Su questa confusione di piani la normazione positiva si innesta quasi senza accorgersene. Il diritto, nella sua forma moderna, è stato pensato come sistema geometrico: un edificio di norme ordinate gerarchicamente, in cui la razionalità giuridica coincide con la coerenza formale, con la deducibilità delle decisioni dalle premesse testuali, con la chiusura assiomatica........





















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