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Diego Dalla Palma: «Mi tolgo dalla vecchiaia, accadrà sull’Atlantico, avrò accanto le ceneri dei miei»

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16.12.2025

Aveva già trovato il posto, una grotta che strapiomba su un burrone, fra i monti di Enego, nel Vicentino. «Non è lontana da Malga Lambara, dove sono nato. Con mio padre ci riparavamo lì dentro quando scoppiava un temporale durante la conta delle vacche, oppure mentre si andava a vipere», racconta Diego Dalla Palma. Eh sì, sull’altopiano dei Sette Comuni catturavano il serpente velenoso, lo infilavano in una bottiglia e lo affogavano nell’acquavite per ottenerne il più assurdo dei distillati, «mio cugino Vittorio era uno specialista nella graspa alla vipera, e non fu mai morsicato, morì invece di rabbia silvestre a 40 anni dopo essere stato azzannato da una volpe che allevava in cantina».

E’  in quella grotta che Dalla Palma, 75 anni, visagista di fama mondiale, imprenditore, costumista, scenografo, scrittore – «io mi definisco solo studioso di bellezza, l’ho indagata per tutta la vita e non ho ancora capito che cosa sia» – aveva progettato di rifugiarsi a morire, nel giorno e nel modo che solo lui deciderà. «Ma poi, in Africa, ne ho trovata un’altra di grotta, affacciata sull’Atlantico, e ho esclamato: qui!».

Qui, anzi là, finirà la vita dell’eclettico «profeta del make-up italiano», come lo definì il New York Times, «però non subito, fra qualche anno, questo non lo ha compreso nessuno», si lamenta dopo il clamore seguito all’uscita del suo libro Alfabeto emotivo. In viaggio con la vita (Baldini Castoldi) e all’apparizione su Facebook e Instagram di cinque lucidissimi reel con cui ha annunciato l’addio ai 316.000 follower: «Non sarò più rintracciabile, sparirò per tutti».

Da sette anni Dalla Palma abita nel Padovano, prima in una villa di Selvazzano, attorniata da un parco popolato da scoiattoli e fagiani, adesso in un elegante appartamento vicino al teatro Verdi, in pieno centro.

Guai a parlargli di morte.

«Sarà una vacanza straordinaria, come quelle che feci arrampicandomi sul Machu Picchu in Perù, andando a vedere in Sudafrica i due oceani che si abbracciano al Capo di Buona Speranza, arrivando con la luna piena alle cascate dell’Iguazú in Brasile. Non mi tolgo dal mondo: mi tolgo dalla vecchiaia».

Per farlo dovrà suicidarsi.

«Ma perché tutti hanno una visione così tetra, così triste, così spettrale della morte? Voglio semplicemente conservare la mia dignità di uomo».

Quella che Indro Montanelli faceva coincidere con la sua possibilità di potersi recare in bagno da solo?

«Quella. Io mi cambio le mutande due volte al giorno, la prego di scriverlo. Non perché mi pisci addosso. Ma basta una goccia, no? Voglio essere pulito e profumato, mi sforzo di stare dritto. E quando non potrò più farlo?».

«Dedico questi miei pensieri alla morte, che avendo avuto fede in me mi ha concesso una vita straordinaria», scrive nel libro. L’ha mai vista in faccia?

«Sì, almeno due volte. La prima a 6 anni, quando fui colpito dalla meningite linfocitaria. Nel coma non trovai alcun tunnel, solo una luce lillà, fortissima, che mi dava un senso di trasparenza e di ristoro. Mia madre restò accanto a me in ospedale per molti giorni, con un’immagine di sant’Antonio stretta al petto. “Al risveglio eri contrariato”, mi raccontò. Mi mancava il lillà. I miei non potevano permettersi di regalarmi dei pastelli per lo scampato pericolo. Disegnavo a matita sulla carta che usavano in malga per avvolgere il burro. Con i cocci dei mattoni rossi dipingevo bocche sui muri della porcilaia. È così che ho scoperto il maquillage».

E la seconda volta?

«Una ventina d’anni fa. Abitavo a Milano. Una persona, con cui intrattenevo una relazione, mi piombò in casa, mi massacrò di botte e mi tagliò la gola. Credendomi morto, rubò orologi e denaro. E fuggì. Non so come, riuscii a scendere in strada. Tutto insanguinato, chiedevo soldi ai passanti. Straparlavo. Emilio Radrizzani, droghiere di viale Piave, mi allungò 500 euro. Non ero in me. L’avvocata Annamaria Bernardini de Pace mi portò a casa sua e mi curò. Seguì un mese d’ospedale all’estero per lesioni a un polmone, a un timpano e a un testicolo. Mi salvarono alcuni medici cubani miei amici».

E l’aggressore?

«Fu catturato. Originario di Capo Verde. Si scoprì che s’era già fatto 14 anni di galera per aver ridotto in sedia a rotelle una........

© Il Mattino di Padova